
Carlotta Corsi per TRISTE©
È sempre magico incrociare la strada di un qualcosa in cambiamento, soprattutto se questo avviene nelle persone; cambiano colore e finalmente riescono a ridere con gli occhi.
Quello che è più difficile osservare è tutta la strada percorsa per arrivare fino a quel punto, osservare il punto di partenza, quello incolore e senza grandi sorrisi.
Chi più o chi meno, ci siamo tutti reinventati una volta nella vita e lo stupore degli altri nel vederci diversi non è mai paragonabile alla sensazione che si ha al mattino, quando ci si sveglia consapevoli di non essere più la persona del giorno prima.
È da un annetto che covo dentro un bozzolo una metamorfosi speciale e non so ancora che disegni avranno le mie ali, ma una zampetta fuori c’è e al momento questo mi basta per darmi la spinta e dondolarmi ancora un po’.
Chi ha covato per qualche anno dentro se è Gabriel Garzón-Montano che esce con Agüita dopo tre anni dall’ultima pubblicazione “Jardín”.
Lui stesso ha dichiarato, per l’uscita del singolo “Agüita”, di non sopportare la reclusione di un artista all’interno di una scatola e di non aver grande simpatia per i critici e i giornalisti che in passato lo hanno classificato come una semplice fusione tra R&B ed etnico.E’ comprensibile, soprattutto se si viene “criticati” perché il brano che è il frutto di un lavoro lungo tre anni, oltre che a essere ben autoprodotto, è estremamente catchy.
In ogni caso mi chiedo quanto alcuni di questi “critici” abbiano davvero ascoltato il disco: le prime due tracce “Tombs” e “With a Smile” sono Montano, esattamente come lo abbiamo conosciuto, solo con suoni più puliti.
Sono forse “Muñeca”, “Mira my Look “e “Agüita”, allora, sono quel qualcosa di “troppo- cumbieggiante”? O forse è l’autotune? Il kick sincopato?
Montano non ha mai nascosto il suo patrimonio culturale e in quest’ultimo lavoro è più che mai orgoglioso delle sue origini colombiane.
“Bloom” e “Fields” sono una traversata nel cuore e nella mente del musicista Newyorkese, specialmente Bloom, che rivive come “Moonless” una parte di vita passata legata ad un lato probabilmente esplorato ancora nel periodo di depressione degli ultimi anni, riportando a galla i demoni che lo hanno accompagnato dopo la perdita precoce della madre.
Tutto questo disco è un grosso, un enorme vaffa a tutto quel che Gabriel pensava di essere e di dover essere.
Da figlio d’arte, pur prodotto dell’incrocio tra una cultura latina e una franco-anglofona, si è sempre identificato come un americano, per evitare di ricadere negli schemi che lo avrebbero imprigionato: tu fai quello perché conosci quello.
Si è dato la possibilità di uscire dal “personaggio” e di produrre qualcosa che lo facesse star bene.
Il videoclip stesso di Agüitae l’esibizione al “A COLORS SHOW” mostrano esattamente questa trasformazione e fluidità consapevole in quanto artista.
Ci sarebbero almeno un’altra decina di cose da aggiungere, ma a questo punto credo che la cosa migliore sia ascoltare ed osservare la metamorfosi di Montano, ricordandoci che le scatole sono per gli oggetti e non per le persone.