Francesco Amoroso per TRISTE©
Di parole per gli album che più ho amato nel 2021 ne ho spese anche troppe (qui), ma sarebbe stato un peccato non segnalare anche per gli e.p. che, nell’anno appena trascorso, hanno catturato la mia attenzione e mi hanno permesso di conoscere tanti nuove proposte musicali o di approfondire la conoscenza di quelle che già in altre occasioni mi avevano conquistato.
L’elenco è (per fortuna?) ben più stringato (anche nelle chiacchiere) di quello relativo agli album e sono stato rigido nell’inserire solo uscite con non meno di quattro brani e non più di sette.
Clara Mann – Consolation
Yadr Act – Dark Days Ep
Would-Be-Goods – The Violet Hour
The Lounge Society – Silk For The Starving
Capitol – All The Rest Of My Heads
Heka – (a) EP
Real Numbers – Brighter Then
Massage – Lane Lines
Raveloe – Notes And Dreams
Anna B Savage – These Dreams Ep
Bad Pritt – Ep1
William Doyle – Alternate Lands
Molly Linen – Days Awake Ep
Lucinda Chua – Antidotes 2
BABEHOVEN – Nastavi, Calliope
Barbarisms – Another Introduction
The Declining Winter – I Remember
Ailsa Tully – Holy Isle
A Minor Place – Wild, Noisy And Sexy
The Umbrella Puzzles – False Starts & Mishaps
White Flowers – Within A Dream
Lucy Gooch – Rain’s Break Ep
Jetstream Pony – Misplaced Words
New Adventures In Lo-Fi – Godspeed
The Skating Party – Night Ruins
La vetta di questa NON classifica non poteva che spettare a Clara Mann, giovanissima cantautrice folk di Bristol, ma cresciuta in un piccolo villaggio nel sud della Francia, circondata dalla musica classica. È una delle artiste folk più emozionanti, originali e coinvolgenti che ho ascoltato quest’anno e il suo e.p. di debutto per Sad Club Records mi ha stregato.
Il posto d’onore va, invece, in tutt’altra direzione: gli Yard Act si sono formati solo nel settembre del 2019 e le loro prime canzoni, raccolte in un e.p., nate nel pieno del lockdown, trasmettono un senso di rabbia repressa, una volontà di ribellione verso un mondo cui non sentono più di appartenere, un mondo post-Brexit, arrabbiato e insopportabilmente polarizzato. I suoni sono post-punk, ma è chiaro che si evolveranno in mille direzioni (qui un po’ sto barando: ho già ascoltato il loro album d’esordio, di prossima uscita, ed è una bomba).
Il gradino più basso del (non) podio se lo conquista la veterana Jessica Griffin con i suoi Would-Be-Goods: dopo una lunga pausa, nell’ottobre 2020, Jessica ha iniziato a scrivere una canzone al giorno, componendo partendo dal titolo, fornito ogni sera dal suo compagno (e compagno di band) Peter Momtchiloff. Tutte le canzoni sono state interamente scritte ed eseguite da Jessica e quindici di queste sono state pubblicate su Bandcamp (divise in tre EP di cinque canzoni) nel marzo 2021. The Violet Hour, con la magnifica The Love Parade, è quello che mi ha convinto di più. Che classe immensa e che talento inesauribile.
Ci sono poi il debutto di The Lounge Society, prodotti da Dan Carey e di cui avevo già parlato diffusamente, il sound in bilico tra post punk e shoegaze dei canadesi Capitol (con Always Saying Nothing che tocca vette raggiunte solo ai migliori The National) e una schiera di straordinarie giovani artiste che con la loro musica declinano il cantautorato in varie forme, tutte coinvolgenti e convincenti: dalla scozzese Raveloe, all’inglese, ma ormai trasferitasi a Glasgow, Molly Linen, alla londinese e delicatissima Ailsa Tully, fino all’americana Maya Bon, in arte BABEHOVEN.
Più sperimentali sono le proposte dell’italianissima (ma di stanza a Londra) Heka, con le sue atmosfere rarefatte, di Lucinda Chua, che, per la 4AD), incide canzoni affacinanti che si muovono tra il soul, l’elettronica e il cantautorato, di Anna B Savage, già amatissima con il suo album d’esordio, ma che aggiunge altre quattro perle al suo scrigno (compresa una spiazzante cover di Edwin Collins) e di Lucy Gooch, inglese, con il suo e.p. di elettronica suggestiva, dilatata e avvolgente.
Non poteva mancare la quota indiepop, con e.p. che arrivano da tutte le parti del mondo: i Real Numbers da Minneapolis, con il loro e.p. di canonico e magico jangle pop, i californiani Massage che, dopo l’ottimo secondo album, espandono con questo e.p., il loro suono, gli italiani A Minor Place, che aggiungono delizie al loro album uscito a cavallo tra lo scorso anno e questo (e, pertanto, penalizzato in tutte le classifiche…), gli The Umbrella Puzzles, nuova creatura del filippino Ryan Marquez, trasferitosi in California, il cui e.p. che si muove leggiadro tra indiepop e delicatezze twee è uscito per una piccola etichetta greca, la Melotron, che ha pubblicato anche l’e.p. in bilico tra synthpop e jangle pop di The Skating Party, da Philadelphia e i sempre bravissimi Jetstream Pony di Beth Arzy e compagni che, con il nuovo e.p. rinverdiscono i fasti dell’esordio dello scorso anno.
CI sono, poi, William Doyle che rivisita in Alternate Lands (stavolta in chiave più accurata e prodotta) alcuni dei brani del suo magnifico album, i miei amati Barbarisms con quattro inediti che si avvicinano più al folk rispetto al loro Zugzwang, i White Flowers che, con Within a Dream, portano alla luce materiale, inciso successivamente all’album d’esordio, che denota un allargamento della loro palette sonora e i veterani The Declining Winter dell’ex-Hood Richard Adams, sempre prolifici, che nell’ultima raccolta, I Remember, piazzano il colpo da maestri proprio con il brano omonimo, tra i più riusciti della loro sterminata produzione.
Ultime, ma non meno importanti, altre due produzioni italiane (quest’anno la madrepatria sugli scudi, cosa che non mi accadeva da molto) molto distanti tra loro, ma entrambe validissime: l’e.p. di Bad Pritt (progetto di Luca Marchetto), un bellissimo lavoro neoclassico composto principalmente con un pianoforte verticale e anche strumenti aggiuntivi come violino e sintetizzatore che ha attirato l’attenzione della giapponese Ricco Label, e il ritorno dei torinesi New Adventures In Lo-Fi, con Godspeed, un e.p. che rinverdisce i fasti del miglior indie rock dei nineties.
E, con questo, il 2021 può davvero considerarsi in archivio!
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