
Tiziano Casola per TRISTE©
Nostalgia del Futuro, quante volte ne abbiamo sentito parlare ultimamente? Solitamente, in un modo o nell’altro, salta fuori quando ci si trova a parlare delle difficoltà socio-economiche che al momento affliggono i nati tra gli anni Ottanta e Novanta.
“Nostalgia del Futuro” sono però anche le prime tre parole che mi vengono in mente mentre se penso a questo nuovo album dei Franz Ferdinand. Proviamo a capire per quale motivo.
The Human Fear esce a distanza di vent’anni da quell’omonimo disco d’esordio che una discreta fetta dei musicofili nati tra gli Ottanta e i Novanta ricorda come una sorta di miracolo, me compreso.
All’epoca i Franz Ferdinand apparivano come una specie di nuovi Talking Heads, buttati nel calderone del revival garage dei 2000s, in mezzo a tanti nuovi qualcuno, che però, volendo mettere i puntini sulle i, alla fine non somigliavano mai a nessuno (volete ancora raccontarmi la storia secondo cui gli Strokes sarebbero indistinguibili dai Television? Sono un adulto ormai, non ci cascavo prima, figuriamoci ora).
Torniamo però alla Nostalgia del Futuro: il fatto che, vent’anni fa, i Franz Ferdinand erano percepiti come band futurista. E non mi riferisco ai tanti riferimenti estetici a un primo Novecento di avanguardie artistiche, campagne coloniali in paesi esotici (leggi: a un’immagine cartoonesca di), macchinari analogici con pulsanti e tagli di capelli da educandi. Erano una band ‘del futuro’ perché ci presentavano un pacchetto di fantasie inedite. Immagini e suoni che nulla avevano da spartire con l’estetica del postumano, dell’ultramoderno, che tanto andava di moda in quegli anni. Ci regalavano l’invenzione di un passato trasognato, un universo vintage improbabile, un calderone di ricordi da ex-bambini europei nel quale si delineava un pop futuro possibile. Azzarderei, il migliore possibile, cioè fatto di buon gusto, melodie perfette, educate frivolezze e sottile humor da gentlemen.
Sembravano una sorta di Pulp a orologeria, messi in moto da una macchina a vapore. Rientravano nella categoria del revival garage, ma in comune coi Sonics cosa avevano? Forse l’umorismo. Ancora completamente privi del camaleontismo delle band ‘di genere’ dell’epoca Spotify, i Franz Ferdinand erano degli inventori.
Confesso che, se non fosse stato per il singolo Audacious (splendido!), avrei avviato l’ascolto di The Human Fear con dei pregiudizi dettati dal cambio di formazione. Mi riesce sempre difficile accettare l’idea che una band si tenga in piedi nonostante i componenti cambino. Figuriamoci i miei idoli di gioventù. Il precedente Always Ascending non l’ho mai ascoltato proprio per questa ragione. Come avrebbero potuto divertirmi (sì, scopo della musica pop è divertire) senza riff scritti di un ex cleptomane di auto in Germania (Nick McCarthy)? O senza un batterista sdentato che sembra disegnato da Max Bunker (Paul Thomson)?
La soluzione in questi casi – e grazie al Cielo adottata in questo The Human Fear – è sempre: facendo altro. Risposta azzeccata. Ancora meglio se facendo altro si tiene in qualche modo vivo qualcosa del passato. Qualcosa legato all’approccio, alla mentalità, non alla forma, sia chiaro.
In Build it Up e in Night or Day sembra infatti tornare lo spirito di quei vecchi groove “a locomotiva”, ma con tocco di classe di non autocitarsi. Black Eylashes, fumettistica e demente, strizza l’occhio allo splendido disco di esordio delle Los Bitchos, di qualche anno fa, prodotto proprio da Alex Kapranos. C’è solo una traccia per me da buttare, ma non vi dirò quale. Ritengo Kapranos un gentleman e voglio provare ad esserlo un po’ anche io.
Un gentleman che ha avuto la buona educazione di lanciare un singolo in cui canta:
“!”Don’t stop feeling audacious, there’s no one to save us, so just carry on
Don’t go blaming the neighbors, you know they’re the same as us, we should just get on“
Mi sembra un ritornello appropriato per chi prova la suddetta Nostalgia del Futuro.