David Keenan – Memorial Device

Francesco Giordani per TRISTE©

“La musica vale sempre più della vita, mi ha scritto. Qualcosa gli aveva fatto cambiare idea. Il dovere della vita è essere all’altezza della musica, ha scritto. Quand’è che la vita è alla pari con la musica, se non nei ricordi, se non nei sogni?”

Grazie alle neonate edizioni Double Nickels, anche il lettore italiano può finalmente perdersi tra le memorabili – si perdoni il gioco di parole – pagine di Memorial Device, singolarissimo romanzo di David Keenan, apparso in Gran Bretagna nel 2017 con il titolo This is Memorial Device. Già firma di punta di The Wire – a lui si deve, pare, il conio di termini di gran fortuna critica come “freak-folk” e “hypnagogic pop” -, Keenan è autore di una multiforme opera letteraria, che dalla storiografia musicale (England’s Hidden Reverse, su Current 93, Coil e Nurse With Wound) si è poi progressivamente aperta al racconto di finzione.

“An Hallucinated Oral History of the Post-Punk Scene in Airdrie, Coatbridge and Environs, 1978‑1986” recita dunque il sottotitolo del libro di Keenan e poco resta invero da aggiungere se non che Airdrie, cittadina di circa quarantamila abitanti a meno di venti chilometri da Glasgow, difficilmente, senza questo romanzo, sarebbe entrata nella mia (e immagino anche vostra, non appena l’avrete letto) geografia psico-sonora.

Anche e soprattutto perché la scena “post-punk” di Airdrie raccontata nel libro semplicemente non è mai esistita se non, per l’appunto, nell’immaginazione di David Keenan, che ad Airdrie ci è nato e vissuto davvero e che pure quella scena se l’è inventata di sanissima pianta, band, testimoni oculari e relative discografie compresi, solo per l’irresistibile gusto di trascinarci nel vortice allucinato e allucinatorio dell’(im)possibile. Del resto, a pagina 261, si legge: “(…) La cosa bella di una scena locale come quella di Airdrie era che tutti erano così strani in modo originale che buona parte di loro non poteva contribuire ad alcun preconcetto sulla possibilità. Era impossibile essere possibili. Questa era la parola d’ordine dell’intera scena”. Date simili premesse, il risultato finale non poteva che rivelarsi il capolavoro poetico che poi il romanzo, pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo, effettivamente è.

Seguendo a suo modo la strada, sempre vertiginosamente in bilico sul crinale che separa la verità dallo strapiombo della finzione, tracciata da scrittori come W. G. Sebald, Javier Cercas, Emmauel Carrère ma soprattutto, a ben vedere, dal supremo Roberto Bolaño de I Detective Selvaggi, Keenan affida all’alterego fanzinaro fallito Ross Raymond il compito di raccogliere e riordinare in ventisei frammenti l’epopea picaresca, a tratti esilarante a tratti cialtrona a tratti solo così struggente da lasciarti col cuore spezzato e sanguinante, degli anni d’oro del punk e della successiva stagione “post-”, per come essi si configurarono in quel di Ardrie:“Devi capire che quando si parla di scena locale è come parlare di una scena internazionale in miniatura. Avevamo i nostri Syd Barret e Brian Jones e Nico e Peter Perret (…) Dopotutto non è mica facile essere Iggy Pop in una piccola città della Scozia Occidentale. Ci vuole un certo impegno”.

A parlare sono pertanto le bislacche voci, diligentemente trascritte da Raymond (e straordinariamente caratterizzate da Keenan), di altrettanti protagonisti e testimoni del microcosmo artistico o presunto tale della cittadina scozzese. Centro e motore immobile degli innumerevoli intrecci esistenzial-erotico-musicali rievocati nel libro sono senza dubbio i Memorial Device, ineffabile band post-punk (un po’ Joy Division, un po’ Pere Ubu, un po’ Throbbing Gristle) che deve il suo nome ai gravi problemi mnemonici del cantante Lucas (un po’ Syd Barrett un po’ Ian Curtis un po’ Rocky Erickson), genio corpulento che dimentica ogni giorno tutto quello che ha vissuto il giorno prima e che deve per questo trascrivere in tempo reale su un quaderno ogni evento o percezione che attraversi il suo cervello.

In coda e a corredo delle vicende narrate, Keenan allega inoltre documenti che costituiscono veri e propri capolavori nel capolavoro. Si va da una disanima immaginaria, disco per disco, dell’opera dei Memorial Device, ad un glossario biografico ragionato di tutti i nomi della “scena” di Ardrie, con la ciliegina finale di un indice tematico che, anche a scorrerlo a caso, regala decine e decine di lampi improvvisi (tipo “sesso, d’estate ai margini dei campi da golf, pag. 24”; “sigaretta, fumata in modo sfacciato, pag. 51”; “punk, salvarsi da, pag. 187” e così via).

Ma quello che più rimane del libro, alla fine, non è tanto o non solo, pur con tutto il piacere che ne deriva, il semplice gioco (meta)letterario quanto piuttosto il suo senso ultimo, quel voler “re-immaginare” (o forse risognare) l’apparentemente immutabile passato per liberare la possibilità di un futuro. In questo senso, proprio perché non accadute, le intricate vicende della scena post-punk di Ardrie ci riguardano tutti. Come scrive Ross Raymond all’inizio della sua inchiesta: “L’ho fatto perché, per un attimo, anche quando tutto sembrava impossibile, tutti facevano di tutto: leggere, ascoltare, scrivere, creare, appendere poster, prendere appunti, svenire, vomitare, provare, provare, provare in stanze scure e senza finestre alle due del pomeriggio, come se il futuro fosse proprio lì davanti a noi e volessimo farci trovare pronti. E ora tutto questo è morto e sepolto. È per questo che l’ho fatto, se volete sapere la verità”.

David Keenan
Memorial Device
Double Nickels
Traduzione di Matteo Camporesi e Lorenzo Mari
Pp 316
€ 18

Il libro può essere acquistato qui.

Una playlist con alcuni dei pezzi “veri” citati nel romanzo -o che ne hanno in qualche modo ispirato l’atmosfera-, da tenere in cuffia durante la lettura:

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