
Francesco Amoroso per TRISTE©
“Raise your words, not voice/ It is rain that grows flowers, not thunder”
(Rumi)
“It’s so easy to laugh, it’s so easy to hate, it takes strenght to be gentle and kind”
(The Smiths)
“Do something pretty while you can”
(Belle and Sebastian)
Se odiare e ridere di tutto e di tutti è una scelta facile, ci vuole molto coraggio a essere buoni e gentili. Rivendicare il diritto alla gentilezza e alla sensibilità è un atto rivoluzionario e le canzoni di Grand Drifter, sin dall’esordio del 2018 con Lost Spring Songs, trovano in questa rivendicazione la loro prima ragione d’essere. Andrea Calvo, architetto, disegnatore e musicista piemontese che si nasconde dietro il progetto Grand Drifter, ama perdersi tra sonorità calde e da sempre amate e trasmette le proprie emozioni attraverso acquerelli pop dai colori tenui e dai testi semplici e significativi.
Dopo l’uscita, sul finire del 2021, del secondo album, Only Child, inciso con uno stuolo di collaboratori di prestigio, Andrea non ha perso tempo ed è ritornato a comporre e registrare, stavolta in (quasi) completa solitudine, un nuovo breve lavoro.
Paradise Window è una raccolta di sette canzoni (indie)pop scintillanti e delicatissime, rischiarate dall’intensa luce di un pomeriggio di fine estate che mette in risalto la straordinaria sensibilità artistica e lo spessore umano di un sopraffino artigiano del pop.
Da amante delle sonorità più malinconiche e quietamente gioiose quale certamente sono, potevo non innamorarmene perdutamente?
E bastano meno di 22 minuti per la felicità?
Ascoltando Paradise Window la risposta non può che essere affermativa.
Il suo pop dolce e impalpabile, il gusto raffinato per arrangiamenti di sublime essenzialità e una voce malinconica e espressiva, lo rendono la colonna sonora perfetta per il delicato passaggio dall’estate all’autunno.
Anche stavolta, immergendomi nelle canzoni di Grand Drifter, ho la sensazione (una sensazione che causa un’emozione, breve ma intensissima) di poter cogliere degli indizi, dei particolari con i quali Andrea -non so se volontariamente o meno- tenta di comunicare, a chi lo ascolta, certamente le proprie passioni e i propri riferimenti musicali, ma anche una certa visione del mondo, un suo atteggiamento verso la vita.
Che sia io a proiettare, a metterci troppo di me e delle mie aspettative dentro questi suoni o che ci sia qualcosa di vero, qualcosa che unisce indissolubilmente compositore e fruitore, un aspetto della musica che a entrambi sta molto a cuore, conta relativamente.
Ciò che conta davvero è che ognuna delle sette canzoni di Paradise Window, ognuno dei suoi quasi ventidue minuti, ognuno dei milleduecentonovantacinque secondi, ogni nota e ogni parola, mi fanno sentire bene. Mi fanno sentire meno solo.
Forte di una tradizione pop che tiene insieme i Beatles e The Field Mice, Simon & Garfunkel e i Go-Betweens, stavolta Andrea Calvo ha imperniato le sue canzoni sul pianoforte, relegando per lo più la chitarra alla parte ritmica, e così se Only Child tendeva al jangle pop anglosassone, Paradise Window è più di ispirazione “norvegese”, con elementi sonori – la chitarra classica contrappuntata dal piano, la batteria appena percettibile, i delicati passaggi di bossanova– che ricordano da vicino i Kings Of Convenience più ispirati. L’incredibile sensibilità melodica di Calvo riesce nella magia di rendere corposo e stratificato l’amalgama sonoro delle sue composizioni tanto che, a dispetto della scelta di incidere in perfetta solitudine, sembra siano accompagnate da una piccola orchestra condotta da un Burt Bacharach in vena di understatement. Un album che, seppure per una manciata di minuti, trasmette una quieta felicità.
Un gran dono, di questi tempi.
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