“The boy Gedge has written some of the best love songs of the Rock ‘n’ Roll Era. You may dispute this, but I’m right and you’re wrong!” John Peel
“I Wedding Present volevano essere gli Smiths dopo che anche gli Smiths erano morti assieme alla regina. Ci riuscirono.” Sono parole mie, che non ricordavo di aver scritto -ormai più di dieci anni fa- e che pur tuttavia mi paiono ancor oggi sufficientemente calzanti, efficaci nel rappresentare l’impresa della band inglese soprattutto a chi non l’abbia mai frequentata da vicino.
Com’è difficile essere costanti. Se conto i mesi di blackout, aiutarmi con le dita di una mano è impossibile, ma sono stati mesi intensi che hanno partorito una parte di me senza freni e ciò nonostante, mai così robusta. Ecco il mio diario sonoro.
La giovinezza ha gli occhi limpidi, ha uno sguardo sincero e un po’ sperduto, nel quale si intravede già lo sgomento della perdita e, insieme, è presente un’innocente e innata fiducia nel futuro, che riesce, anche solo per un momento, a prescindere da qualsiasi prospettiva funesta. C’è qualcosa di fatato nella giovinezza. Qualcosa che, ogni volta che la guardo dritta negli occhi, mi rende le gambe molli, mi impedisce di muovermi, di respirare al solito ritmo, di pensare. La giovinezza è negli occhi incerti ma ridenti di un bambino di dieci anni che si allontana eccitato e smarrito ed è nello sguardo risoluto e introverso di un ventenne, che guarda verso giorni migliori, anche a discapito di ogni logica. Alex Pester è (almeno in musica) l’incarnazione della speranza di questi giorni migliori (anche a discapito di ogni logica).
“Non fate che dire la verità, e questo è ingiusto“ (Fedor Dostoevskij – L’idiota)
Se la frase in esergo vi sembra un paradosso vi invito a rileggere il romanzo da cui è tratta. La verità, nuda e cruda, è quasi sempre priva di compassione, non ha a che vedere con i sentimenti, con l’umanità, con la dignità e, tanto meno, con la grazia. La verità ha sempre bisogno di essere un po’ edulcorata per essere accettabile e, spesso, ha bisogno di essere ben celata perché può risultare davvero troppo difficile da digerire. Quando Benjamin Woods ha perso il suo lavoro nel 2020, a causa della pandemia (pare lavorasse in un bar all’interno della Tate Modern), è dovuto tornare a vivere con i suoi genitori, a Truro, in Cornovaglia e, nel pieno del desolato e umido inverno, si è messo a spalare fango in un cantiere edile. Scrivere un album su questa esperienza, filtrata da fango e pioggia, rimuginando sulla perdita dell’innocenza e sulla durezza della vita sarebbe stato scrivere di verità e, per questo, ingiusto. Così come troppo vero (e altrettanto ingiusto, quindi) sarebbe stato raccontare l’infanzia in Cornovaglia, regione piena di contraddizioni, nella quale i turisti sono più numerosi dei residenti e l’inverno è fatto di squallore, solitudine e noia.
“I see her through the ages She’s a book of a thousand pages That you can thumb Images of her are vivid Her beauty has not withered From her entrance in chapter one”
Ho iniziato a conoscere meglio Robert Forster leggendo il suo memoir “Grant And I” (Penguin/JImenez, 2016). È un libro che riprendo in mano spesso, nel tentativo di penetrarne meglio i segreti, per colpa del mio inglese arrugginito, ma quando lo faccio finisco sempre per pensare sia tutto già detto già nelle canzoni che Forster ha scritto, da solo e con The Go-Betweens: brani magnifici, talvolta arrabbiati, intensi, pieni di sfumature e emozione.