
Peppe Trotta per TRISTE©
La musica è entrata prestissimo nella vita di Thomas Powers imponendosi rapidamente quale elemento dominante, sogno da inseguire e realizzare. Figlio di un cantautore folk, ha iniziato a suonare e mettere su varie band fino all’incontro felice – artisticamente e per quasi un decennio anche sentimentalmente – con Alisa Xayalith da cui ha preso l’avvio il progetto indie/synth-pop The Naked And Famous. Due ep casalinghi e, dopo la trasformazione in quintetto, un lavoro d’esordio che presentava al suo interno una serie di hit capaci di lasciare il segno hanno lanciato la band portandola a valicare i confini neozelandesi e pubblicare, tra abbandoni e ritorni, tre ulteriori lavori fino al 2020.
Proprio a ridosso del periodo pandemico, a causa del fermo generale che non ha risparmiato l’attività live del gruppo, Powers inizia a lavorare in proprio nel suo studio casalingo finalizzando adesso quello che è il suo debutto solista. Un disco intenso che mette in mostra una sensibilità profonda, ribadendo le sue doti di scrittura e l’inclinazione alla produzione maniacale che ha condotto a tempi di gestazione dilatati per garantire l’ottimale limatura del suono.
Da questo processo nasce un album che, pur affondando pienamente nell’ambito pop, si distingue dalla cifra stilistica della band per il tono introspettivo ed un’ecletticità fruttuosa. Modern classical ed elettronica si inseriscono nell’universo creativo di Powers generando un itinerario ibrido, arrangiato con estrema cura, che racconta delle insicurezze del vivere, delle complicazioni dei rapporti di coppia e delle difficoltà delle connessioni virtuali, cristallizzandosi in tracce melodiche a presa immediata (Falling Down the Stairs, l’irresistibile elettropop glitchato di Empty Voices) ed incursioni strumentali dominate dal dialogo serrato di piano e archi (Half Pirouette) o soltanto dalla danza luminosa di quest’ultimi (An Opening, Rogue Waves), esaltando la qualità cinematografica delle composizioni.
La malinconia, il disorientamento che sottende i testi riesce a coniugarsi con la stessa precisione anche ad efficaci strutture pulsanti (Sleep and/or Rest, The Big Feel), eppure è nell’intersezione equilibrata delle diverse istanze in gioco a brillare, quando neoclassicismo e pop si fondono perfettamente lasciando che l’elettronica gestisca le transazioni tra le parti (Li, Little Lungs, Preston). Alla messa a punto del processo creativo contribuiscono gli artisti chiamati in causa dal musicista di stanza a Los Angeles, Julien Baker e Chelsea Jade con le loro vocalità incisive, l’esperienza e il talento del polistrumentista Rob Moose – già collaboratore tra gli altri di Sufjan Stevens, Bon Iver, Phoebe Bridgers – e il tocco indie del duo Now Now.
Tutto ciò fa di A Tyrant Crying In Private un esordio notevole intriso di dolente bellezza e sapienza musicale, un primo tassello che non dovrebbe rimanere un’esperienza isolata visto il potenziale messo in mostra in queste quattordici tracce intrise di emozioni profonde.