Tamino – Amir (Deluxe)

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Carlotta Corsi per TRISTE©

Mi capita di essere triste.
Capita a tutti, e poiché questa sensazione a volte si protrae per un tempo indefinitamente lungo, è difficile tollerarla e si finisce per prenderne le distanze. Sopprimere qualcosa che pensiamo sia tossico è parte del nostro corredo genetico, l’istinto di conservazione che balza fuori a piè pari.

Talvolta, il nostro DNA, (se siamo davvero sfigatissimi), può trasmetterci un disturbo dell’umore cronico, detto anche “Distamia”, che provoca una sensazione costante di tristezza e sconforto.
I fattori esterni che possono essere determinati da un processo di crescita e di evoluzione, in questo caso influiscono relativamente sulla sensazione di lontananza e fugacità dalle cose.
Per quanto stupido possa sembrare, la soluzione migliore, spesso, è accettare la propria croce, portarla consapevolmente e superare i ventisette anni senza troppe tragedie.

Chi di malinconia e tristezza abbonda nell’animo, è proprio Tamino, ventiduenne, Belga di nascita, erede del patrimonio artistico di nonno Moharam Fouad, cantante cinematografico Egiziano degli anni 60.
Nel suo Amir, da poco ripubblicato in una versione più generosa, esprime tutta una varietà di mondi uggiosi e davvero bellissimi,e, in preda alla tristezza, l’ho ascoltato volentieri.

Le spezie mediorientali profumano tutto l’album, come particelle danzanti, su melodie molto europee: difatti la prima pubblicazione dell’LP che risale al 2018, fu realizzata in collaborazione con Colin Greenwood dei Radiohead: Tummy, Crocodile e W.o.t.h  sono brani dove più è possibile sentirne il marchio, per niente stucchevole.

La voce baritonale, che tocca vari registri, mi ricollega poi al giovane Buckley, (soprattutto nel brano Habibi) anch’egli erede di una genetica piuttosto vincente.
Durante tutto l’ascolto le storie che Tamino racconta mi sollevano un po’ dalla tristezza distruttiva e mi ricordano che, spesso, la malinconia è la memoria esterna più incredibile e importante che potremmo mai possedere.

Continuo e con grazia e delicatezza attraverso questo deserto su “Each Time” dove Tamino ci accompagna per mano.
Come se davvero guidasse il nostro orecchio come un flauto magico, incollata, rimango immobile come un cobra.
La voce e la chitarra in Indigo Night possono riassumere alla perfezione il concept dell’album e il testo ti abbraccia nella sua visione non appena pronuncia “Imagine..” e, continuando in un crescendo, “It feels like I’ve always been blind i don’t know why you girls are so kind, for there are so many in line whose lives aren’t as lost as mine..”.  

Questo ragazzo è davvero in grado di risvegliare i sentimenti più reconditi che, senza gran coscienza, sfociano in visioni malinconiche di qualcosa che nemmeno sai spiegare, ma che sicuramente ci sfugge o ci è sfuggito di mano e che ci riporta puntuali, all’incontro con le sensazioni che tendiamo ad allontanare di continuo.

E’ così.
A volte ci si sente soli e un po’ persi, come se davvero tutta questa tristezza ci cadesse addosso senza avviso, in una soluzione unica e senza un gran motivo apparente: questo è uno di quegli album che servono al processo non tanto perché porta speranza, ma principalmente perché non fornisce scuse per isolarti e deresponsabilizzarti da ciò che, spesso, il tuo corpo butta fuori per necessità e per guarire davvero.

 

 

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