Emanuele Chiti per TRISTE©
Premessa.
Pensi alla Svezia e ti vengono in mente: Stoccolma, quanto è bella Stoccolma, quanto vorrei andare a vivere a Stoccolma, ma quanto costa però (sempre Stoccolma). E poi Ikea, la neve, il freddo, quanto sono belle le svedesi e quanto sono belli gli svedesi. E poi il welfare: l’esempio massimo e più virtuoso d’Europa (se non del mondo) di welfare state è quello partorito da anni ed anni di deliziosa governance socialdemocratica svedese.
Tutti hanno quello che gli spetta, non puoi essere lasciato indietro, non siamo mica in Italia. (ma attenzione alle pandemie mondiali, in quel caso non so se sia meglio nascere a Göteborg o a Pescara).
Discorso.
Per chi segue con, anche modesta, passione la musica però la Svezia è stata anche altro. Altro che va ben oltre gli Abba (che per me sono tra le dieci band fondamentali di sempre, ma comunque…). Altro che significa ad esempio Jens Lekman o The Knife, quindi musica che unisce carisma, unicità e qualità In un modo comunque molto svedese: gentile, anche quando si tratta di trasgredire (vedi il secondo caso).
Ma i Viagra Boys sono…ancora altro.
Nel caso specifico, in particolare del secondo disco Welfare Jazz (ed eccoci qui: si ritorna al welfare si cui sopra, ma anche al jazz. Non saprei su due piedi come collegare il jazz alla Svezia però, se non fosse che uno dei migliori live free jazz che posseggo è proprio un doppio live di Ornette Coleman a Stoccolma) non ho molta voglia di incentrarmi particolarmente sulla musica.
Mettiamola così: vi piace il “post punk” più danzereccio e sguaiato? Non vi da fastidio una voce totalmente sgraziata e profonda che va dove vuole?
Il sassofono: vi piace il sassofono che prende spazio tra un basso roboante e spesso monotematico, una batteria che va dritta e delle chitarre e tastiere a fare da contraltare, senza che conquistino mai in maniera invasiva il centro della scena?
E, ultimo ma non per ultimo, vi piace ballare ai concerti? Ecco, ascoltatevi i Viagra Boys.
Illuminazione.
Cosa mi accende il cuore e il cervello però dei Viagra Boys?
È che, musica che mi piace tanto a parte, i Viagra Boys rappresentano, nella mia testa e nelle mie prime impressioni, una performance che va oltre: tra la satira (anzi il trolling) e la serietà, dove ci si prende gioco degli stereotipi della mascolinità tossica che piano piano si sgretolano (molto piano, a dir la verità) in maniera più diretta persino degli Idles, sin dalla postura del frontman Sebastian Murphy, praticamente un hooligan in perenne hangover ma, se chiudi gli occhi, ti può sembrare anche romantico, ad esempio in “Into The Sun” o nella cover finale “In Spite Of Ourselves”.
Ecco: la working class, che i Viagra Boys sembrano in qualche modo rappresentare almeno nell’estetica, che conquista tutto quello che un tempo era dedicato solo alle classi “alto o medioborghesi”, facendo sue istanze e modalità, rappresenta una roba per me incredibilmente romantica e trascinante.
“Girls & Boys”, con il suo sassofono che va a sbattere contro la voce di Sebastian, scazzata e insolente, è la summa di tutto questo: non si sa da dove comincia la parodia e finisce l’impegno, ma c’è e rimane. Impossibile, credo, restarne indifferenti.
Conclusione.
I Viagra Boys a novembre dovrebbero essere in tour in Italia ed, ora come ora, è la cosa che più vorrei vedere al mondo, forse più di una pizzeria piena il sabato sera o il welfare state svedese.