Collettivo Ginsberg – Kintsugi

Peppe Trotta per TRISTE©

Gennaio è un mese difficile, forse non crudele quanto Aprile, ma di certo complicato da superare. È pervaso da correnti fredde e taglienti, al suo interno ospita quello che si ritiene essere il giorno più triste dell’anno e ti pone innanzi la dura prospettiva di un nuovo, lungo anno da affrontare. Eppure è proprio tra gli algidi riflessi di questo apparente momento di stasi che si trova il momento per riflettere su se stessi, di ripensare alla propria esistenza e pianificare ottimistiche ripartenze, lasciandosi possibilmente cullare da quel prezioso e vivifico balsamo che è la musica.

Colonna sonora ideale per dare forma ai buoni propositi di questo strano duemilaventuno appena iniziato è “Kintsugi”, lavoro che sancisce il ritorno, a quattro anni dall’ultima pubblicazione, del Collettivo Ginsberg, mutevole e caleidoscopico progetto sonoro nato nel 2004 ad opera di Cristian Fanti e Andrea Rocchi. Emblematico è il titolo scelto da Fanti, esplicita dichiarazione della volontà di rispolverare la denominazione che ha visto alternarsi nel corso degli anni diverse formazioni e declinazioni sonore, di rimetterne insieme i pezzi orientandola verso un orizzonte sempre più solitario ed introspettivo.

Spinto da un diverso approccio influenzato dalla paternità, intento dichiarato dall’esplicita dedica che accompagna l’album, il musicista forlivese traccia una nuova rotta da seguire proiettata verso un cantautorato più intimo e riflessivo, affidandosi pienamente alla scrittura e limitando fortemente il contributo derivante dall’improvvisazione e dall’interazione con gli altri musicisti coinvolti, tra i quali troviamo alle chitarre il sodale Rocchi. Immutati rimangono l’indefinita impronta sonora scaturente da una costruzione musicale ibrida e il ricorso alla tecnica del cut-up, della citazione trasfigurata, che caratterizza la stesura dei testi.

Tra diafane dilatazioni (“Al chiaro di luna”) e minimali narrazioni dall’incedere morbido (“Chiedi alla polvere”) che riecheggiano nei titoli capolavori classici, calde nenie costellate da pulsazioni esotiche (“Notturno”), dolenti dichiarazioni scandite da rallentate cadenze dal sapore bristoliano (“Kintsugi”), sonorizzazioni di poesie bukowskiane e ammalianti elegie che fondono T. S. Eliot e Battiato (“Una calma apparente”), quel che si dischiude è un territorio onirico sinuoso fatto di melodie disarmanti e ritmi compassati a cui abbandonarsi lasciandosi trasportare in un universo avvolgente capace di conquistare con delicata grazia. Quello che “Kintsugi” delinea è un’oasi di quiete, un flusso emozionale che ha la forma di intimistiche confessioni rivolte ad una bambina da poco entrata nel mondo, ma capace di divenire un caldo abbraccio offerto a chiunque senta il bisogno di riconquistare una dimensione sensoriale vivida e vitale per riaprire gli occhi tornando a sognare.

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