Peppe Trotta per TRISTE©
Scavare nel passato, riattualizzarne le testimonianze per avere una visione più chiara del presente. Condotto con questo spirito, il recupero e l’analisi delle radici storiche, in qualsiasi campo venga attuato, è un’operazione importante e vitale dalla quale possono scaturire esiti brillanti.
Un’esemplare testimonianza in tal senso arriva dal quarto, convincente lavoro discografico pubblicato da Jake Xerxes Fussell.
Ricercatore di musiche tradizionali del sud degli Stati Uniti – figlio non a caso di un etnomusicologo e fotografo – l’artista del North Carolina prosegue la sua apprezzabile attività di archivista di vecchie canzoni affiancandole per la prima volta quella di compositore.
La presenza di quattro brani originali infatti è la principale novità di questo Good and Green Again, album che nel complesso non si discosta altrimenti dai suoi predecessori. Coadiuvato in cabina di regia da James Elkington – tra le sue collaborazioni ricordiamo quelle con Jeff Tweedy e Tortoise – e accompagnato da un ensemble di ottimi musicisti (Casey Toll, Bonnie “Prince” Billy, James Elkington, Anna Jacobson, Nathan Golub, Lilly Rodenbourgh, Joe Westerlund e Joseph Decosimo) Fussell costruisce un itinerario narrativo incentrato sul senso di perdita. Amori interrotti dalla guerra, navi che affondano, mulini in fiamme sono solo alcuni dei temi affrontati, cristallizzati in brani dal tono sobrio ed elegantemente rifiniti.
Una produzione sapiente, capace di aggiungere preziose sfumature al tocco asciutto e all’interpretazione pacata del musicista americano, porta alla declinazione di un folk privo di stringenti definizioni temporali, perfettamente sintetizzato dall’accoppiata formata da The Golden Willow Tree – canto tradizionale reso attuale nel suono quanto nel contenuto lirico – e What Did the Hen Duck Say to the Drake? – strumentale dall’aura polverosa scritto da Fussell.
Questo costante rimando tra passato e presente è l’essenza di Good and Green Again, evidente a partire dalla romantica Love Farewell – impreziosita dalla presenza vocale di Bonnie Prince Billy – e presente fino alla conclusiva Washington, inno agrodolce che rivela pienamente la vena compositiva di un artista talentuoso che per la sua passione e competenza è accostabile a mostri sacri come Alan Lomax e Ry Cooder.