
Alessandra Trirè per TRISTE©
“My name is Micah Paul Hinson“.
Apre così, ormai per consuetudine, e di certo non più per scansare gli equivoci sulla pronuncia del suo nome (MÀICA, non MÌCA) come era solito fare durante i primi concerti da queste parti, ormai più di dieci anni fa.
E infatti, subito dopo il caloroso applauso del pubblico che segue questa sua presentazione, col solito piglio ironico e divertito che lo contraddistingue, aggiunge:
“F*ck, I didn’t know my name was so popular around here“.
Il cantautore statunitense torna dunque per l’ennesima volta all’Hana-Bi, ormai un po’ una sua seconda casa, uno dei suoi posti del cuore in Italia, e per dirla tutta anche uno dei posti del cuore (musicalmente parlando) di chi sta scrivendo questo piccolo report.
L’ultima volta che vidi Micah P. Hinson qui all’Hana-Bi, forse nel 2015 o 2016, trovai il coraggio di fermarlo per parlargli. Era ancora tardo pomeriggio, Micah si rilassava in attesa del soundcheck.
Si era seduto sulla collinetta di sabbia che sta a lato del palco, credo bevesse qualcosa, di certo stava fumando. “Ciao Micah, mi chiamo Alessandra, ti ho intervistato insieme ad altri ragazzi diversi anni fa per OndaRock. Ti avevamo inviato le domande via email tramite ***” [non ricordo chi fosse il contatto, ma si trattava di un chitarrista che ai tempi suonava con/per lui].
Ero piuttosto emozionata. Non ero mai riuscita a scrivere una email direttamente a Micah e ora lui era lì, davanti a me, a portata di voce! Fu estremamente disponibile e alla mano. Mi disse che si ricordava dell’intervista (chissà se era vero o se lo disse solo per cortesia…) Parlammo della sua musica, ma anche della sua vita privata in quel momento: “Sai, sto per avere il mio primo figlio…”.
Sono passati tanti anni da allora. Nel frattempo di figli ne ha avuti altri due, c’è stato un divorzio, è arrivato un nuovo amore (italiano!). Anche nella sua vita musicale sono accadute molte cose, in questo lungo lasso di tempo: qualche altro lavoro in studio, una crisi creativa importante, una (quasi) fine e, per fortuna, una rinascita e un nuovo inizio.
L’ultima volta che vidi Micah dal vivo, ricordo che l’esibizione fu molto deludente. Lui non reggeva il peso delle sue stesse canzoni, la sua voce era troppo spesso completamente fuori controllo, una stecca dopo l’altra…un disastro.
Nonostante la gioia della chiacchierata pomeridiana, andai via da quella serata piuttosto amareggiata. Quello non era il Micah che conoscevo io, quella non era la voce che faceva vibrare forte le corde della mia anima, non si era accesa l’atmosfera che tanto mi faceva sognare ai suoi concerti. Forse la crisi era già in atto, forse già musicalmente Micah stava iniziando a perdere la strada…chissà.
Ieri ho trovato una persona diversa. Non ci ho parlato, ma l’ho osservato mentre si aggirava per i dintorni del locale dopo il soundcheck. Era mano nella mano (e occhi negli occhi) con la sua nuova compagna, è andato con lei a farsi un veloce giro in spiaggia, pochi minuti prima dell’inizio dell’esibizione.
Mi è sembrato piuttosto sereno. E credo di averci visto bene.
Il concerto è stato meraviglioso. Micah era del tutto centrato, con un controllo perfetto di ogni aspetto dell’esibizione, compresa la voce. Era finalmente tornata la “Sua” Voce, con quella tonalità calda e profonda “alla Cash”, per me una tra le più belle voci del panorama musicale presente e passato.
È riuscito a creare in breve tempo attorno a sé un’atmosfera magica, quell’atmosfera che mi aveva fatto innamorare delle sue esibizioni live e che tanto mi era mancata la volta precedente. “Finalmente è tornato”, ho pensato dopo i primi due o tre brani. Quanto ci avevo sperato!
La sua interpretazione dei brani, vecchi e nuovi, è stata ispirata e profondamente sentita. Ho avuto un tuffo al cuore quando ha ripescato dalla vecchia produzione Seems Almost Impossible, Tell Me It Aint’t So e Beneath The Rose.
E un piccolo brivido dentro si è presentato ogni volta che la sua chitarra si impastava col banjo di uno dei due musicisti che lo accompagnavano.
L’esibizione è stata un’alternanza di brani cantautorali intimi e suggestivi e frizzanti e travolgenti incursioni alt-country. Tra le altre, c’è stata anche una divertita strizzatina d’occhio al passato (come spesso Micah ama fare, e in linea con la sua grande devozione per la tradizione musicale americana), con la cover di Denver, Please Daddy Don’t Get Drunk This Christmas, presa dal suo ultimo lavoro in studio. Speravo suonasse anche When We Embraced, ma purtroppo non era prevista in scaletta.
Micah mi ha però inconsapevolmente regalato una piccola sorpresa sul finale.
Ieri pomeriggio ho detto a mio figlio di dieci anni (a cui due giorni fa avevo già propinato un intero album di Micah, per prepararlo un minimo al concerto): “Ti faccio ascoltare una sua canzone molto divertente. Per me ti piacerà”.
E il terzo brano a chiusura del primo bis, sul finire dell’esibizione, è stato proprio QUEL brano. Un (ennesimo!) tuffo al cuore, entusiasmo generale tutto intorno a noi (ma quanti fan della prima ora c’erano?!?), sin dalle prime note di banjo che introducono la coinvolgente Diggin’ A Grave.
Ciao Micah, è stato davvero un grande piacere ritrovarti.
Bentornato.
