Ibisco – Languore

Ad un’arte che pretenda di insegnarci le nefandezze del bon ton, continuiamo a preferire un’arte che ci riveli il buio e le nostre zone di paura e, in sostanza, le libertà mai scontate del vivere e del morire.

Pier Vittorio Tondelli,
citato in Tondelli e la Musica, pag.84,
Edizioni Interno4, 2022

Forse non è troppo tardi per spendere qualche parola sul secondo album di Ibisco. Che, uscito ufficialmente lo scorso 20 d’ottobre 2023 (nel medesimo giorno del fortunato Relax di Calcutta) non ha smesso di accompagnarci e “crescere” negli ultimi due mesi dell’anno appena trascorso, tanto da far venire la voglia di riannodare i fili argomentativi di quanto già scritto soltanto un anno fa a proposito dello splendido debutto Nowhere Emilia.

Va ricordato che prima di Languore era già arrivato, a ridosso dell’estate del 2022, il magnifico singolo Darkamore realizzato in collaborazione con Cosmo, che aveva poi fatto da volano ad una ristampa “aumentata” del disco d’esordio (opportunamente ribattezzato Darkside Emilia), nella quale spiccavano, oltre ai remix, pregevolissimi brani inediti come Godere e Droga+Solitudine.
E proprio queste ultime, più di Darkamore, sembrano aver preparato il terreno per le fioriture poetiche e sonore di Languore.

In questa seconda prova Ibisco conferma la sua natura di altro libertino e viandante notturno, continuando ad assecondare un gioco mobilissimo di esplorazioni, epifanie ed esperimenti che però, se in Nowhere Emilia parevano proiettarsi nella dimensione fisica di luoghi, geografie e spazi sempre contesi fra città e provincia, centro e periferiche no man’s land suburbane, in Languore ripiegano vertiginosamente verso l’interno, nelle zone più profonde, inafferrabili, della psiche.
Dentro, me è del resto il titolo della notevole ballata che, su abissali movimenti di sinfonia a tratti quasi dalliana, accende lo straordinario romanzo lirico della sequenza Seduci/Vera/Albanera/Languore/Alcolicixbenzina.
Creazioni ispirate, in cui memoria, autobiografia, visione allucinata e delirio chimico si cristallizzano nella sintesi perfettamente compiuta di versi spesso fulminanti (“La vita è il culto del culmine”;Chi ci limita forse anche ci salva/e questa verità è da dividere”; “Ogni decisione è sola”; “Ogni moda rende nuova la difficoltà”; “Che depressione lucida credere ad un solo Dio”) e viscosa sostanza post-punk/dark wave, in bilico fra Martin Hannett e CCCP, Manchester ed Emilia paranoica.

In compagnia di altri talenti più o meno coetanei che con lui condividono una provenienza leggermente “eccentrica” rispetto ai grandi luoghi di irradiazione discografica e culturale (Marco Castello, Lucio Corsi, Visconti, fra quelli che più mi hanno colpito), Ibisco è, a parer di chi vi scrive, una delle firme che più facilmente potrà orientare lo sguardo e le prospettive della nuova canzone italiana, aggiornandola ad un tempo che, se in buona parte ci resta ancora sconosciuto, pure in alcuni momenti di Languore svela lampi improvvisi di innegabile bellezza.

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