Francesco Giordani per TRISTE©
Viviamo di notte nell’ora più buia
Guardando le case di chi non lavora
E c’è una regione che ti assomiglia
E tutta la tua religione è finta
Qua dormire soli è comunque vita che passa via
Mi rendo perfettamente conto che la situazione internazionale è a tal punto cupa da non permettere di ascoltar la musica prediletta a cuore troppo leggero, soprattutto in questi ultimi infiammatissimi giorni, sempre sfiorati dal terrore di un baratro irreversibile.
Chi scrive, sebbene abbia la libreria Spotify drammaticamente ingolfata di succulente novità ancora tutte da addentare (Big Thief, Beach House, King Hannah, la colonna sonora di Cyrano), ha faticato non poco in questi giorni a costruirsi una “zona” protetta e neutrale, a riparo dall’intronante boato informativo di schermi digitali e tv sempre accese, nella quale poter tornare ad esercitarsi serenamente nella più nobile e saggia delle arti, come Ian Penman ci ha insegnato: quella dell’ascolto. D’altra parte, è del tutto evidente, chi ascolta un disco, fintanto che è impegnato ad ascoltarlo (con tutti i crismi e l’attenzione del caso), anche volesse non potrebbe nuocere o far male a nessuno. Esclusi certi dischi (si scherza, suvvia!), aggiungerei: neppure a sé stesso.
Qualcosa dunque, a lenire insonnie e sbornie polemiche da social, è fortunatamente riuscito a filtrare attraverso la coltre di apatica accidia che ci attanaglia. L’ep Nove Uno di MasciaTi lascia maturare i primi gustosi frutti di una ricerca che, dall’onirico cantautorato indie-pop di Svegli Sempre, si è oggi spostata in territori più urbani, tra sensualissimi brividi elettronici a fior di pelle (Intro, Il tuo nome) e chiaroscuri r’n’b/soul in odor di xx (Baby, Lei).
Prevalgono ispirazioni notturne, eroticamente allucinate, o allucinatamente erotiche, se preferite, carissime del resto pure agli WOW, che attorno alle mirabile rêverie morriconian-apocalittica di Falene costruiscono una favola incredibilmente gotica, quasi horror, circonfusa di romanissimi fantasmi metropolitani.
Tuttavia, almeno in Italia, il titolo di piccolo principe della notte lo vince al momento, e a pieni voti, Ibisco. Ovvero Filippo Giglio, musicista emiliano classe 1995 che, sotto gli auspici del magister Marco Bertoni (Confusional Quartet), firma con Nowhere Emilia un’opera d’esordio a dir poco affascinante. Richiamando memorie del primissimo Vasco Brondi, affondate però nel vibrare elettronico del miglior Cosmo (a proposito: da recuperare assolutamente il suo ultimo La Terza Estate dell’Amore), Ibisco gira una sorta di road-movie sconvolto, iniziatico, deragliante, spesso travolgente, quasi sempre ballabile ma soprattutto, quando parole e beat iniziano a girare per il giusto verso, terribilmente romantico. Un viaggio, anzi un trip, al termine della notte dell’infinta provincia italiana, percorso “a tavoletta” dal tramonto all’alba di periferie che mescolano aperta campagna, fabbriconi collassati e luci lontane. Schivando trappole e illusioni, abbracciando visioni, simboli, impressioni di senso, puntualmente trascritte in un diario psico-sonoro che si popola, pagina dopo pagina, canzone dopo canzone, di Meduse, Pianure, Ragazzi, Chimiche, Quartieri, Bologna Nord.
Di Nowhere Emilia colpiscono la compattezza, la fluidità, la bontà dei pezzi, l’uso di un Noi che finalmente spezza tanto il querulo Io dell’ormai inaridito sermone it-pop quanto l’estenuato Io-Tu dell’ “intronata routine/del cantar leggero/l’amore sul serio” (Battisti & Panella ®): “E noi non viviamo senza/ Noi, se finisce male, sì/ Troveremo un mondo/ Noi, senza stare male/ Farlo apposta di morire”. Nelle creazioni di Ibisco riecheggia la coralità tragicomica degli altri libertini tondelliani, si riprende il filo delle struggenti imprese a vanvera dei “giovani umani in fuga” cantati da Gianni Celati (R.I.P.). Anime inquiete della Pianura, che amano ballare al fuoco digitale di un Aphex Twin ma che poi hanno la memoria dello smartphone invasa dal catalogo Captured Tracks e da vecchi dischi new wave. Stelle cadenti che Ibisco riesce spesso a catturare nel loro momento di massimo fulgore, fissandone in musica la traiettoria che è ad un tempo esplosione veloce di luce, orgasmo, scia chimica, desiderio espresso.
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