Kee Avil – Spine

Un suono tagliente privo di concessioni, una destrutturazione senza tratti univocamente definibili. Sono questi gli elementi fondanti che emergevano netti dall’opera prima di Vicky Mettler a firma Kee Avil, un universo articolato, apparentemente incline all’incompletezza anche se costruito con minuziosa attenzione.
Un immaginario inquieto e profondamente straniante.

La medesima attitudine torna prepotentemente in Spine, degno successore di quell’ottimo esordio, imperniata su coordinate stilistiche coerenti esplorate con un approccio nuovo.
La materia sonica delle dieci nuove tracce – scritte in pochi mesi durante una pausa del tour seguente la pubblicazione di Crease – si presenta decisamente meno stratificata, volutamente ruvida e nutrita di volta in volta da soli quattro elementi strumentali.
Chitarra ed elettronica sono le costanti, la voce sempre protagonista nel suo farsi sussurro strisciante, modulazione trasfigurata, singhiozzo da brivido.

Un substrato essenziale, modellato per sottrazione, che si muove tra dissonanze elettriche di un post-punk alieno – su tutte la splendida Felt, primo estratto proposto – frammentazioni scheletriche di glitch (Fading, Gelatin) e frequenze post-industrial (the iris dry, Croak), atmosfere dark cariche di tensione (under).
Anche quando la struttura è più accessibile, maggiormente aderente ad una forma canzone convenzionale (do this again, at his hands) il tono rimane obliquo, marcatamente cupo.

Spine è un disco che conferma tutta la voglia di sperimentare alla base della ricerca della Mettler, la spinta a dare forma ad un territorio sonoro costellato di emotività graffiante, che non teme di immergersi nell’oscurità per estrarne cristallina linfa vitale. Un altro autentico pezzo di bravura.

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