Ethel Cain – Perverts

Sono molto affezionata a Ethel Cain.
Ancora frastornata dal lockdown, nel 2022, passeggiavo nel verde della mia provincia, allora così odiata e che ora, domiciliata a Milano, mi manca terribilmente. Ascoltavo Inbred, e l’avevo appena scoperto.
A gennaio 2025 è uscito il nuovo album di Ethel Cain, Perverts, e mi trovo di nuovo a camminare ascoltando Hayden Silas Anhedönia. Sono nove tracce, per ottantanove minuti totali di suoni trascinati, parole distorte, spesso rumori, sovente anche striduli. La prima traccia, Perverts, dura 12 minuti ed è suono puro.

La musicista Cain porta con sé tutta l’aura gotica che si respira spesso in certe zone del sud degli Stati Uniti. Misticismo, cruda realtà, vite così lontane l’una dall’altra da lasciare lo spazio necessario spesso a storie terrificanti. 
Questa è un’opera che parla di sgomento con sgomento stesso; i suoni sviluppano perfettamente i temi dei testi, che non sono tanti e non sono presenti in tutti i brani. 

Punish è, ad esempio, esplicita: “I am punished by love“. “Sono punita dall’amore”, frase ripetuta fino alla fine del brano, mentre le chitarre si intensificano e il riverbero di quella che sembra una porta che cigola muove qualcosa di sinistro e tenero allo stesso tempo.

Vacillator è un altro brano che mi tiene incollata: i primi due minuti solo una batteria che scandisce il ritmo, poi si aprono le armoniche con la voce di Ethel. Le lyrics sono molto sensuali e ti immergono nell’ intimità dell’artista come fossi preda di un pendolo. La sua voce qui è bellissima.

If You Love Me, Keep It To Yourself, Onanist e, poi, Amber Waves -sopratutto l’ultima, brano di chiusura, ritornano brevemente alla Cain di American Teenager

I still kick rocks when the walking is good“. Mi ha ricordato proprio quando, nel 2022 ho ascoltato per la prima volta Inbred da sola, mentre passeggiavo e rimuginavo.

L’artista fa uso di echi e riverberi come cifra stilistica, da sempre. Anche se i testi sono sempre centrali nell’opera, in Perverts è l’accurata scelta di ogni singola nota, di ogni suono, a essere protagonisti. I brani dove Cain canta, tuttavia, sono tra i più belli e quelli nei quali la sua voce raggiunge le vette più alte della sua carriera, almeno fino ad ora. È un disco studiatissimo eppure intimo e personale.
Sembra quasi in diario segreto lasciato aperto in una casa di campagna in decadenza. Ogni dettaglio è curatissimo. Si chiude con “I can’t feel anything“, grido tremante e spaventato, quasi a cancellare tutto ciò che fino a quel momento è stato espresso. 

Ethel Cain riesce sempre a smuovere tanto dentro di me, anche se, nel mio piccolo spazio tempo, con lei mi ritrovo ferma.

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