
Francesco Giordani per TRISTE©
Di recente mi è capitato di leggere una lunga quanto interessante intervista a Robert Fripp. Di essa mi ha colpito in particolate un folgorante quanto apparentemente fugace passaggio, nel quale il decano inglese del prog, parlando del suo periodo new wave legato all’album Exposure (1979) e alle coeve collaborazioni con David Bowie, Peter Gabriel e Daryl Hall, marcava con diabolica precisione la differenza fra band post-punk inglesi e omologhe americane dell’epoca. Se in queste ultime furoreggiava un nichilismo idealizzato e bohèmien da scuola d’arte, nelle prime, a detta di Fripp, era l’urgenza della realtà politica a pressare l’estetica della canzone e a plasmarla in forme nuove: “La mia esperienza, nel muovermi da una situazione all’altra, mi porta a dire che da un lato c’era principalmente un movimento artistico, un modo di affrontare le cose, di vivere, di lavorare, e dall’altro lato soprattutto una forte componente di protesta nei confronti delle condizioni politiche ed economiche dell’Inghilterra di allora” (da Rumore n.371, dicembre 2022)
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