Tyler The Creator – Igor

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Carlotta Corsi per TRISTE©

Parlavo qualche giorno fa con alcuni amici del concetto di maschera pirandelliana e di come le persone al giorno d’oggi si sentano obbligate verso la scelta di una costruzione dell’identità pubblica, perché accomodante e rassicurante in un qualche modo, nascondendo quelle che sono le nostre insicurezze più profonde e inconsce. E’ chiaramente un argomento spinoso, talvolta scomodo, sicuramente ci riguarda un po’ tutti e il più delle volte ci sentiamo parte in causa quando se ne parla: al lavoro, con parenti e amici, nelle relazioni interpersonali più in generale, indossiamo spesso delle maschere. Negli ultimi anni la musica ne ha seguito un po’ la falsariga, evolvendosi  in questo aspetto e portando certe realtà discografiche a creare contesti floridi per artisti che hanno preferito impersonare un’icona e cavalcare, nello specifico, il flow di matrice afroamericana. I più impavidi potrebbero urlare allo “scimmiottamento” di un genere che è nato invece dall’esigenza di esprimere un’identità personale e volutamente diversificata rispetto al contesto commerciale.

IGOR di Tyler The Creator è in definitiva la rappresentazione esasperata della critica verso questa maschera: il disco è presentato dallo stesso artista come un album che non è un album, né tanto meno un album rap.
Tra le foto che lo accompagnano, c’è Igor, personaggio che Tyler rappresenta con completini sgargianti e caschetto biondo, che altro non è che la provocazione di un artista stanco dei luoghi comuni che girano attorno all’Hip-Hop community. Per portare alla luce un cambiamento, in realtà già iniziato nel disco precedente “Flower Boy, Tyler decide così di usare un alter-ego, utilizzando la musica per veicolare un distacco da questa appropriazione culturale.

È una realtà che ha indispettito non solo Tyler, ma molti altri artisti che, come lui, da sin dall’esordio, hanno portato sulla scena la loro versione delle cose in modo personale ed onesto, smuovendo l’opinione pubblica e creandosi poi un seguito e un successo che li ha sicuramente ripagati della sincerità artistica.
Non solo, quindi, ne hanno sposato la causa ma hanno fatto squadra e deciso di elevare la posta in gioco: Kanye West, Pharell, Steve Lacy, sono solo alcuni dei nomi che troviamo nell’album, del cui passaggio e retaggio culturale riconosciamo una traccia indelebile.

Le sonorità, nonostante la massiccia presenza di suoni sintetici e computerizzati, non si distaccano troppo dal mondo soul e R&B, ci sono, anzi, anche rimandi espliciti a una zona tipica degli anni ’60.
Ciò che sovverte davvero la percezione dell’album, quindi, è l’uso di questi suoni, spesso monolitici e di breve durata, che nascondono nei testi un’irriverenza più forte.
Si può definire questo tipo di approccio come decisamente più punk rispetto ai precedenti album di Tyler.
Partendo dal primo brano, IGOR’S THEME, fino a PUPPET, troviamo un filo logico incentrato sul sentimento molto forte che Tyler prova a trasmetterci con la propria musica, come se si susseguissero alti e bassi emotivi tipici dell’adolescenza, molto forti e, nella maggior parte dei casi, senza grandi parole a traduzione di quel che accade: si avvicendano, così, una bella quantità di momenti strumentali, molto ben realizzati e prodotti, ma che, per un momento,  ti fanno domandare quale sia il vero senso in tutto questo “borbottare”.

C’è chi ci vede del genio e c’è chi non riesce proprio a mandar giù questa sconclusionata esasperazione di suoni su suoni, benché efficacemente composti, chi è infastidito un po’ dall’evoluzione forzata che un’artista del suo calibro dovrebbe fare, fondamentalmente perché è quel che ci si aspetta. 

La sua genialità, invece, è stata proprio quella di spiazzare, cambiare le carte in tavola, ribaltare tutto il gioco, lasciando al pubblico la completa possibilità di pensarla come vuole perché tanto “chi se ne frega, a voi piace quella merda che vi fanno passare come rap, beccatevi questo e vediamo che ne pensate”.

Questo gioco di contrasti ed esasperazioni ha chiaramente diviso l’audience, cosa che, per altro, non ha mai toccato Tyler The Creator, né prima, con tutte le accuse anche personali, né ora di certo con questo suo ultimo lavoro: in ogni caso, la sua piccola opera geniale consiste nell’utilizzare una maschera per smascherare una falla nel sistema e, questo va detto, è un vero colpo basso, dato con gran classe.

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