Questa notte ti ho sognato. Era uno di quei sogni muti in cui tu mi prendevi per mano e mi fissavi. Mi guardavi così tanto intensamente da entrarmi dentro, facendomi quasi dubitare d’essere in un sogno.
Sembrava uno stato di sogno lucido, il mio; ero da qualche parte tra l’inizio del sonno ed il sogno, forse ero in un viaggio fluttuante nello spazio profondo, e tu con la tua solita persuasione canticchiavi una canzone, attivando in me una percezione di posto sicuro.
Eri una musa allucinogena, eri una sorta di meditazione posseduta da un senso psichedelico. Eri un album fusion che evoca la sua narrazione in modi diversi, eri Dream Road il quarto album di Doug Tuttle.
Le dieci melodie che fischiavi erano uno psych-rock colorante un paesaggio ipnagogico, un vero capolavoro onirico di twang atmosferico che fa entrare chi ascolta in un piccolo mondo irreale.
Avevi la capacità di plasmarti a tuo piacimento, diventando un assolo di chitarra lungo quasi un minuto, come un carosello in loop, la cui missione è destinata a non finire mai.
Come la quintessenza dell’inganno, continuavi a suonare con un senso di avventura, con un groove esigente diventavi un’opulenza d’alterazioni sensoriali. Con astuzia manipolavi il mio viaggio illusorio per insinuarti attraverso la sfocata “strada dei sogni” della mia mente, che narra un coinvolgente album pieno di visioni oniriche surreali.