Peppe Trotta per TRISTE©
Una luce diversa sa costruire punti di vista inediti, aprire a uno sguardo nuovo in cui si riversa il passato e si intravede il futuro. È qualcosa che forse cerchiamo costantemente, ma che giunge spesso inatteso scaturendo da ciò che accade scandendo lo scorrere del nostro tempo. Una visione matura, intrisa di nuova consapevolezza.
“Shepherd in a Sheepskin Vest” sembra essere il pieno riflesso di un momento simile per Bill Callahan e ci restituisce finalmente, a quasi sei anni di distanza da “Dream River”, la cristallina arte di un poeta contemporaneo la cui assenza rischiava di divenire intollerabile.
Tante sono le cose accadute nel mentre, soprattutto un matrimonio e la paternità, contingenze che incidono in modo profondo sulla scrittura e sulle atmosfere di questo nuovo lavoro, torrenziale flusso di ben venti canzoni, spesso brevi, che parlano di vita, morte e amore.
Decisamente meno nette sono le ombre che abitualmente aleggiano sulle tracce disseminate dal cantautore americano, lasciando il posto a suadenti confessioni a cuore aperto sempre e comunque incentrate sulla forza avvolgente ed evocativa della sua calda voce e del suono della chitarra a cui si sommano i contributi di quella di Matt Kinsey, del basso acustico di Brian Beattie e sporadicamente di misurate linee ritmiche di batteria.
C’è una serenità e una calma inusuale che si irradia dalle trame folk di Callahan, una confidenziale intimità con cui parlare delle emozioni del quotidiano che si cristallizza in canzoni intrise di commovente lirismo, perdendosi parzialmente solamente in chiusura quando “The Beast” ci restituisce la nervosa ombrosità di un animo inquieto che sente sempre stringente la necessità di raccontarsi attraverso il suono e le parole.
Bentornato Bill.
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