Trudy And The Romance – Sandman

trudy and the romance

Francesco Giordani per TRISTE©

Con imperdonabile ritardo segnaliamo uno dei migliori album pop dell’annata in corso. Sempre che tale disco esista davvero e non sia piuttosto un’allucinazione, tanto esso appare del tutto fuori dal tempo, come sospeso in uno spazio illusionisticamente sconfinato che obbedisce a regole soltanto sue. Sin dal titolo, l’esordio dei liverpooliani Trudy and The Romance si promette del resto al mondo dei sogni e ai personaggi, obliqui e strambi, che sempre lo popolano.

Il terzetto inglese – che dal vivo può però estendersi sino a sestetto – guidato dal visionario Oliver Taylor, è attivo già da qualche tempo (si segnala l’ep Junkyard Jazz di due anni fa) e approda a questo disco di debutto sulla spinta di un’ambizione che apparirebbe forse cialtrona se essa non venisse costantemente bilanciata da uno sguardo tenerissimo e appassionato, a tratti donchisciottesco.

Per bocca della stessa band, Sandman è un album diretto come un mini-kolossal disneyano anni Quaranta, concepito per scatenare meraviglia e stupore infantile nell’ascoltare, alla stregua di un Dumbo o di un Pinocchio. A guidarne il concetto generale troviamo infatti il racconto sconnesso delle gesta, delle opinioni e degli amori dei Little Johnny & the Original Doo-Wop Spacemen, un’immaginaria banda rock’n’roll lanciata alla conquista di un fantomatico Nuovo Mondo.

Ispirato da una dichiarazione retro-avanguardistica degli Strokes (“Imagine you took a time machine into the future and found a classic album from way in the past and really liked it”), Taylor imbastisce così le scenografie trompe-l’oeil di una surreale favoletta rock, che rimescola le pagine svolazzanti di intere enciclopedie musicali in un wall of sound onirico e piacevolmente vaporoso. Il doo-wop, Phil Spector, il rock’n’roll primigenio del Cavern Club, Pet Sounds, la psichedelia, il garage, Jonathan Richman, il baroque pop, le ariette di Broadway, le colonne sonore hitckockiane di Bernard Hermann e quelle di Henry Mancini: tutto (e molto altro) si libera e si libra nell’areopoema de-genere dei Trudy and The Romance, in un’assenza di gravità che ad un tempo artificio retorico e levitas sottilmente naif.

Pindarici, bulimici, romantici, modernissimi e infiniti, Trudy And The Romance firmano un musicarello che saprà premiare con generosi interessi chi ha ancora la pazienza (e il coraggio) di preferire le meravigliose menzogne del pop alle garbate falsità della vita reale.
Ergo: recuperateli.

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