Feet – What’s Inside Is More Than Just Ham

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Francesco Giordani per TRISTE©

Mettiamola così. Chi non si lascerà dissuadere dalla bruttezza di un titolo e di una copertina non propriamente vegan-friendly, scoprirà in What’s Inside Is More Than Just Ham un brillantissimo album di debutto che effettivamente, oltre all’eponimo prosciutto, di carne sul fuoco ne mette in quantità e varietà apprezzabili, infilando una serie di coup de theatre gastronomici degni del più ispirato dei gourmet.

I Feet sono in cinque e vengono per lo più da Coventry, città indelebilmente legata agli Specials e all’etichetta 2-Tone (tanto leggendaria da essere recentemente omaggiata anche dalle casacche della squadra di calcio cittadina) ma di Ska questi Feet non hanno in realtà nulla, questo va detto subito.

Nelle dieci canzoni di What’s Inside Is More Than Just Ham si ritrova senza dubbio la lezione ben appresa degli Shame (basti a tal proposito lo strategico singolo Petty Thieving) ma arricchita da un esuberante armamentario di guarnizioni art-pop e svolazzi al limite del cabarettistico che conferiscono all’insieme un’eccentricità (spesso confinante con la psicosi) non trascurabile.

Un ruolo più che decisivo lo gioca in questo senso la presenza ben sopra le righe del cantante George Haverson, ugola a tratti quasi sovrapponibile a quella del primo Chris Martin ma lingua piacevolmente più biforcuta. Acidissime noterelle diaristiche sul mal di vivere inglese (English Weather), humour nero fresco di laurea (le ottime Ad Blue e Good Richard’s Crash Landing), strampalate chincagliere popedeliche da mercatino delle pulci (sentite la traccia eponima) e un generale senso di irreversibile sperdimento da provincia post-post-industriale, sono gli elementi primari di un discorso che la band lascia danzare con estro sbilenco, ricordando (come già da molti osservato) le gesta dei primi Blur o anche dei Super Furry Animals.

Ma quello che più conta osservare qui è la nascita di una vera e propria nuova scena (anzi no, meglio: comunità) rock britannica, assolutamente minoritaria, rispetto al decennio scorso quasi totalmente (e volutamente?) fuori dal cono di luce di media e troppo scaltri professionisti della comunicazione, eppure tenuta assieme da un fortissimo movente generazionale, verrebbe quasi da dire “destinale”.

A questi Feet si affiancano già infatti i nomi di altre interessanti e altrettanto giovani band come Life (giunti al secondo album da pochissimo), Sports Team, Italia 90, Squid, Hotel Lux, Dry Cleaning e Working Men’s Club. Nelle mani (e nei plettri) di queste formazioni potrebbe decidersi il futuro della musica che amiamo. Staremo a vedere.
Ma soprattutto a sentire.

 

 

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