Carlotta Corsi per TRISTE©
Da un paio di settimane cammino tutte le mattine in solitudine in questa città nuova, in cerca di qualcosa.
Adoro perdermi per poi ritrovarmi. Ho sempre avuto bisogno di stimoli esterni, perché di base sono poco attenta e a volte basta poco per mandarmi in confusione.
Sono esattamente quel tipo di persona che trovi al supermercato con la faccia poco simpatica, le cuffie saldissime nelle orecchie, con una caterva di cose in mano, senza mai un carellino perché “…che fatica” e che puntualmente non sente la cassiera quando le chiede la carta punti. Così se ne va, probabilmente sotto lo sguardo giudicante delle sciure presenti ma del tutto ignara e piuttosto allegrotta, galleggiante nei propri pensieri culinari.
I’ve been workin’ hard and takin’ time
Not sure what I’m tryin’ to find
Will I know it when I get there?
Will I taste it in the air?
La verità è che per quanto questo modus operandi sia genuinamente mio, a volte mi rende prigioniera e quindi tento di modificarlo, perché da ceci e pomodori, passare a pensieri disfunzionali/dolori di pancia è un attimo per me.
Allen Stone credo che un po’ mi capisca, non solo perché è un meraviglioso pesciolino, ma anche perché il suo nuovo album, Building Balance, parla proprio di questo. Incentrato attorno a un concetto molto ampio di amore, rapporti e relazioni, il suo ultimo lavoro distende e trova le parole per esprimere quel qualcosa che cerchi: “Quando organizzi note musicali in una canzone, tu stai riciclando cose, suoni e note che hai ascoltato prima per metterle in una scatola nuova. Ho sempre voluto che le persone sentissero qualcosa, non saprei determinare cosa di preciso, ma una bella vibrazione è comunque un bellissimo sentimento”.
Allen nasce vicino a Spokane, nell’87 ed è un ragazzino biondissimo, dal capello riccio e lungo e dagli occhi blu incorniciati con occhiali tipo fondo di bottiglia, che canta con tutta la sua “Soul“.
Che forse quegli occhiali gli servano per guardare meglio dentro le persone?
Nel suo sound sono molto presenti Stevie Wonder e Donny Hathaway e in Building Balance trovo tracce di un Prince Pop come nel brano Sweaters.
È una carezza dopo l’altra e la scrittura di ogni brano è tanto intima quanto universale, dai dolori di un amore problematico, al sincero bisogno di contatto fisico, alla ricerca personale appunto, fondamentale per costruire dei rapporti.
Brown Eyed Lover, il primo singolo estratto che ascoltai mesi fa in un live session, già preannunciava bene il ritmo e lo stile del disco: durante la carriera di Stone, spesso è stato facile vedere tra gli ascoltatori occhi grandi e sbalorditi e leggere dal labiale anche delle orecchie più abituate, un “beh… bravo per essere bianco”.
Il suo sound è ancora oggi catalogato in quella fastidiosa etichetta del “blue-eyed soul” dove in sostanza, chi è bianco ed è vagamente bravino in questo particolare genere, è l’eccezione, perché fondamentalmente è nel lato sbagliato del campo. Stone in passato ha oltremodo dimostrato anche impegno sociale-politico con la sua musica, come ad esempio nel brano “Unaware” che poi è esattamente quello che lo ha portato alla luce, e quindi continuare a catalogare questo ragazzo come un contraffattore di musica nera a volte mi disturba.
In questo lavoro vediamo davvero l’anima più morbida e sincera dell’artista, come le ballate Consider Me, Give You Blue che porterebbero il sereno anche nel cuore più plumbeo. E’ un disco meno spigoloso dei precedenti, partendo da Last to Speak (2010). Musicalmente, più consapevole, più preciso, alla ricerca del lato primordiale, Building Balance mostra al pubblico un artista maturo e finalmente equilibrato, Miscommunicate e Lay it Down ne sono un esempio.
Io credo continuerò ad andare in giro con la testa tra le nuvole, mentre ascolto musica, mentre ascolto Allen, persa nella mia nuova città, magari solo più attenta a dove metto i piedi, perché l’ultima volta ho preso una mega storta, e io nella mia vita devo e voglio ancora camminare tanto, sennò dove li compro i ceci?