Peppe Trotta per TRISTE©
L’attesa, frangente che si dilata divenendo bolla indefinibile, ma anche condizione che consente di riappropriarsi del tempo senza cedere alla frenesia e alla necessità di procedere in fretta.
Mai come adesso abbiamo modo di percepirlo in modo così netto, di abbracciare l’incertezza per una meta che non sappiamo dove sia situata.
Fondamentale è assorbire tutto ciò che nel mentre ci accadrà per tramutarlo in feconda esperienza.
Questo valore della lentezza è certamente un dato fondante del nuovo disco di Marla Hansen, suo secondo lavoro solista che giunge a ben tredici anni di distanza dal debutto di “Wedding Day”, lasso di tempo speso a collaborare in modo costante con artisti del calibro di Sufjan Stevens, The National e My Brightest Diamond e ad accumulare input da trasferire alla sua personale tavolozza sonora.
Trasferitasi a Berlino, città da cui ha estratto ulteriori influenze sonore, la musicista americana ha trovato la giusta dimensione per rifinire e chiudere questo suo nuovo percorso musicale pubblicando un album che si distingue per la sua ricchezza melodica e l’accuratezza degli arrangiamenti.
Lungo le sue otto tracce, “Dust” si rivela essere una preziosa sequenza di canzoni folk in bilico tra classicismo – che emerge netto dalle sinuose trame di archi affidate al berlinese Oriel Quartett – e risonanze contingenti che hanno la forma di flebili ibridazioni elettroniche, affidate alla maestria di Barbara Morgenstern.
Su questa vivida materia scorre delicata la voce della Hansen trovando costantemente la giusta misura per adattarsi all’atmosfera mutevole dei brani che si muovono tra ballate ammalianti (“Trace”, “Rare”) e danze armoniche segnate da linee ritmiche più nette (“Path”, “Break”), in un continuo alternarsi di sensazioni legate da una scrittura coesa sempre lieve e fluida.
Un prezioso viaggio in musica pazientemente maturato.