Fiamma Giuliani per TRISTE©
Tra le tante epoche passate che mi affascinano e che vorrei aver vissuto, ci sono sicuramente gli anni Sessanta: mi piacciono moltissimo il cinema, la moda e la musica di quegli anni – mi trasportano in un mondo sognante e sospeso, quasi magico, che oggi può far sorridere per certe sue ingenuità, ma che ha innegabilmente influenzato la cultura odierna.
Ci sono parecchi richiami a quel decennio in “Land of no junction”, album di debutto della cantautrice irlandese Aoife Nessa Francis, uscito all’inizio del 2020 per l’inglese Basin Rock e per l’americana Badabing Records.
Nei nove brani che lo compongono si riscontra un’atmosfera onirica e di confortevole astrazione: sin dalle prime, ticchettanti note di “Geranium”, ci si immerge in una dimensione ipnotica e lontana dall’angosciosa realtà del mondo, passando attraverso chiari omaggi ai sixties, alla psichedelia e alla bossa nova (Blow Up, Libra, Less Is More, In The End) e a suggestioni più folk rock (Here In The Dark, Land Of No Junction, Heartbreak).
Nonostante tutti questi riferimenti al passato, il lavoro complessivo risulta accurato e moderno, come se la cantautrice fosse stata in grado di immergersi completamente in un immaginario passato, rendendolo attuale e adatto a ciò che vuole raccontare, sia musicalmente che dal punto di vista delle parole.
In ogni brano, a modo suo, aleggia un senso di mistero e, allo stesso tempo, di profonda intimità, arricchito dalla voce dolce e dai testi contemporaneamente attuali, in cui si parla di aborto, sentimenti e umana fragilità, e allo stesso tempo costruiti come un flusso di coscienza atemporale.
In “Land of no junction”, Aoife Nessa Francis riesce, con naturalezza e senza affettazione, a far entrare l’ascoltatore nel suo universo fantastico, in cui (citando l’autrice) si può “restare con l’incertezza e accettarla, rifiutando ciò che è chiaro e dando il benvenuto alle perplessità e all’ignoto” e riportandolo in un tempo passato, reso in qualche modo moderno.
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