Carlotta Corsi per TRISTE©
Giusto ieri pensavo alle playlist che creavo sul mio lettore mp3 quando avevo diciassette anni.
Ho faticato a ricordare nomi di alcune band oramai sparite, tra cui gli Animal Kingdom, (The Looking Away, l’ultimo lavoro, risale al 2012) dei quali ricordavo solo il video Vevo di una loro canzone con il titolo che “sicuramente aveva a che fare con strangers”.
Sapete allora che ho fatto?
Ho aperto Facebook e come una pazza sono andata sulla sezione che mi permetteva di tornare ai post relativi a quel periodo, – che sono poi i primi post in assoluto quindi super cringe – e, anche se a fatica, l’ho trovato.
Cacchio che bello! Che sensazione stupenda! Ricordavo di aver pubblicato quella canzone circa seimila volte, ma credo sarei impazzita se non avessi trovato risposta (wow).
Percorrendo poi la bacheca non ho potuto fare a meno di riconoscere anche altri titoli ormai dimenticati i quali, so bene, avevano un enorme peso nel mio quotidiano.
In quel periodo avevo appena scoperto i Phantogram con “When I’m Small” – un brano che non necessita di molte presentazioni – tratto da “Eyelid Movies”, il loro primo lavoro uscito nel 2010, contenente anche “Mouthful Of Diamonds”.
Ecco, loro al contrario degli Animal Kingdom (e di tanti altri) sono rimasti fino ad oggi. Dopo “Voices” nel 2014 e successivamente “Three” del 2016, i Phantogram sono appena tornati con “Ceremony”, uscito il 6 Marzo 2020. Hanno resistito bene al passare del tempo, hanno superato indenni tutte le fasi della mia vita e mi hanno sempre accompagnata, sin da allora.
Incredibilmente precisi nei suoni, i Phantogram riescono a trasportare in luoghi immaginari dai confini molto labili, consentendo all’ascoltatore, di ritrovarsi quasi sempre faccia a faccia con i lati oscuri della propria percezione, creando tensione e spazi infiniti tra sé e il resto.
Parlando in termini allegorici il duo newyorkese composto da Sarah Barthel e Josh Carter ha sempre mantenuto in senso vorticoso un modo di raccontare personali esperienze con l’impatto musicale più forte possibile.
Le sonorità trip-hop, fortemente elettroniche e sperimentali, gli echi surreali, le chitarre stridenti e i beat molto forti, in questo ultimo lavoro sono meno presenti.
“Into Happiness” è il terzo brano dell’album e per un secondo, mi sento trasportata di nuovo nel 2011: suoni molto aperti, tipici dell’elettro-pop. “Pedestal”, “Love me Now”, “Let me down”, a seguire, rientrano in questo nuovo approccio fatto di pulizia sonora e metrica.
In questa prima parte del disco è come se la band cercasse di strizzare l’occhio ai nuovi standard di cui loro stessi sono stati fondamenta e punto di partenza precedentemente. “News Today” e “Mister Impossible” sono un piccolo sorbetto al limone. Rimescolano tutte le carte messe in tavola e, nonostante rallentino un po’ il tiro, percepisco più che la connessione con lo strumento vocale si fa più seria e intima, allargandosi in quel che mi ricorda uno spazio musicale che sta tra fine ‘90 e primi ’00.
“Glowing” taglia un po’ il cuore in piccolissimi taglietti.
La voce racconta del dolore probabilmente legato a lasciar andare una persona dopo averle detto addio. L’album si conclude con “Ceremony”, undicesima e ultima track, che la Berthel ha pubblicamente dichiarato aver dedicato alla sorella morta suicida nel febbraio del 2016.
È un album sofferto e forse per questo non del tutto centrato, con un filo legante preciso. I quattro anni di assenza sono stati chiaramente pregni di emozioni e avvenimenti appuntati qua e là da riportare poi in un disco che si rivela molto catchy e, allo stesso tempo, irrimediabilmente tetro tra le righe del pentagramma.
In tutti questi anni i Phantogram non mi hanno mai abbandonata: ho sempre tenuto traccia di ogni loro movimento e continuerò a farlo, fiduciosa.
Credo che adesso sia il mio turno di tendere loro la mano.