Marco Bordino per TRISTE©
Certe cose arrivano nel momento giusto, o forse in certi momenti è vitale trovare cose giuste per non disperarsi.
In questo lungo periodo di distanziamento ho passato molto tempo in casa mia, da solo. Risparmio al lettore l’elenco dei piaceri e dei dispiaceri che ho scoperto nella forzata permanenza in casa.
Niente di pionieristico, un film di qua, una reumatismo dell’anima di là. Tra questi, una condizione che è cresciuta nel protrarsi di questa quarantena ha riguardato, nella mia esperienza, una moderata dispercezione del tempo.
Non tanto rispetto al ritmo diurno/notturno o a quello atmosferico.
Il tempo nei giorni passava senza che gli eventi o i programmi ne influenzassero il giudizio: in fondo non era stata una giornata nè positiva nè negativa.
In questo ambiente immobile, una delle poche possibilità di andare a modificare il bilancio del giorno in positivo è stata rappresentata dallo scovare qualcosa, qualche oggetto culturale, che fosse giusto.
Operazione per niente superficiale, la scrematura ha seguito regole che tagliavano fuori molte proposte: un po’ malinconico ma non nostalgico che poi mi prende male, attuale ma non troppo che mi manca il presente e i concerti.
Il disco degli Spirit Fest, intitolato Mirage Mirage e uscito a inizio maggio, è stato tra quelli che l’hanno spuntata.
Si tratta di una band frutto di una collaborazione tra Tenniscoats e Notwist, arrivata al suo terzo album, a due anni dall’apprezzato Anohito.
Quattrodici tracce, principalmente canzoni pop, in cui Saya Ueno e Marcus Archer si alternano alle voci, producendo degli splendidi intrecci melodici dal timbro delicato. L’architettura delle canzoni è composta da elementi classici, un piano e una chitarra acustica al centro, una sezione ritmica puntuale sullo sfondo. In più piccoli rumori ambientali e inserti di strumenti acustici ed elettronici disseminati ai lati di ogni pezzo.
Mirage è una perfect pop song richiama apertamente alla memoria i Notwist e non ce ne dispiaciamo. Ma nel disco vengono rievocate altre atmosfere, che non posso collocare in nessun genere o fase della vita.
E’ ìl caso della meravigliosa Zembu Honto (Everything is everything), una soffice marcia pop che cresce lentamente aggiungendo tenui inserti strumentali e sfocia in un ritornello contagioso, di Time to pray, in cui la voce di Saya e la marimba si rincorrono senza volersi prendere.
The snow falls on everyone è una splendida folk song che tira un po’ dentro Stuart Murdoch e i Belle and Sebastian.
L’unica traccia con un richiamo alle strutture electropop della band tedesca, Swim Swan Song, è un esperimento riuscito, ipnotica e dall’esito imprevisto.
Mirage Mirage è un disco che dispensa ovunque un tenue candore, a cui si aggiunge una leggerezza e una sorta di giocosità nello sperimentare, che rappresenta l’identità di una band matura, perfettamente affiatata.
L’ascolto è leggero e divertente, proprio quello di cui avevo bisogno: qualcosa di dolce che accompagnasse giorni di sospensione, potenzialmente vuoti, e li arricchisse.
L’ho capito dopo, ma spendersi in una selezione accurata di cosa non ascoltare è stato necessario.
Diceva D.F. Wallace che dobbiamo imparare a scegliere a cosa pensare e a cosa no se non vogliamo vivere in modo automatico e inconsapevole le parti noiose, frustranti e caotiche della nostra vita.