Alberta Aureli per TRISTE©
La terra possiede una forma distinta, separata, precisa. Alla confusione, all’indistinto carico di tenebre di Caos, Gaia oppone nettezza, compattezza, stabilità. Sulla terra ogni cosa è ben delineata, visibile, solida. Gaia può essere definita come il suolo su cui dèi, uomini e animali camminano con sicurezza. Gaia è il pavimento del mondo.
La spiega così l’origine dell’universo Juan-Pierre Vernant, perché sia chiaro anche ai bambini che apparteniamo al mondo e alla terra, e che senza la misteriosa lastra sotto i nostri piedi non avremmo più possibilità d’essere.
Proprio per questo, fra tutte le forme di nostalgia, la più struggente, ma forse anche la più pericolosa, è la nostalgia del mondo, perché senza il mondo è la nostra stessa possibilità di esistere a entrare in conflitto.
La nostalgia del mondo è fatta di distanza e di separazione, ci chiude nel ricordo e amplifica la claustrofobia di ogni presente.
Ne abbiamo fatta esperienza da poco.
È stata un’esperienza complicata, la mia testa, per esempio, si è riempita di immagini luccicanti, scogliere ventose, aeroporti notturni, spiagge lontane dove la luce del sole si infila tra le foglie dei cespugli a secco e fa brillare ogni cosa.
Voglio tornare a camminare, voglio aspettare un volo in ritardo e guardare gli aeroplani che decollano dietro il vetro giallo di un aeroporto.
A ogni immagine seguiva un desiderio e a ogni desiderio però il confine, e la separazione.
All’inizio degli anni settanta Eliane Radigue registra a Parigi i suoi Feedback Works, la definizione che dà di feedback è quella di reiniezione, il termine fa riferimento ai due metodi principali di produzione del suono.
Il primo è il larsen, il disturbo sonoro generato tra amplificatore e microfono. Il secondo è proprio la reiniezione, un segnale mandato in loop tra input e output con due registratori a nastro, uno impostato sulla modalità di registrazione, il secondo su quella di riproduzione. Nell’immagine di copertina del disco, Eliane tiene una grande conchiglia attaccata all’orecchio destro come fa chi vuole ascoltare il rumore del mare quando ormai è lontano dal mare.
La stessa volontà che anima chiunque voglia riprodurre il mondo quando il mondo si fa lontano. Non sorprende allora che l’atmosfera generata sia poetica e struggente ma anche esplicitamente oscura.
Esce oggi il Feedback Works di Alessandro Ciccarelli che dedicando il suo disco alla Radigue e ripercorrendone il lavoro, reinterpreta in chiave digitale, con il solo utilizzo del mixer audio, quell’esperienza sonora.
Questo Feedback Works, come l’altro, è un disco che mette al centro l’esperienza, anzi il metodo, e lascia che i suoni si combinino e si mischino come quelli del vento.
Rifiutando qualsiasi definizione e qualsiasi narrazione, Alessandro Ciccarelli dice che ciò che più gli interessa è offrire la possibilità di un’azione personale, come davanti a uno spazio vuoto.
Non c’è nessuna storia se non quella che deve ancora essere raccontata.
Il ritmo circolare e ripetitivo, come quello di alcuni mantra, ci conduce in una dimensione alterata in cui è facile che ascisse e ordinate finiscano per piegarsi e chiudersi in una spirale discendente, senza avere paura della profondità del suono.
Ma i riferimenti più espliciti in Feedback Works, quelli che rendono questo disco un’allegoria, sono alla combinazione forzatamente casuale della composizione che, escludendo qualsiasi melodia ragionata, di nuovo finisce per mimare il mondo nella sua capacità di essere al di là delle intenzioni e di riuscire e rigenerarsi in forme inaspettate e non sempre ospitali.
Il risultato è ipnotico, e la sensazione somiglia a quella dei pensieri mobili che entrano e escono dalla nostra testa senza soluzione, input e output, vento freddo e poi caldo che accelera i passi e muta nel movimento.
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