Sweet Whirl – How Much Works

sweetwhirl

Francesco Amoroso per TRISTE©

Provo quotidianamente a combattere la disattenzione, la fretta, la superficialità con cui oramai ascolto la musica, ma di solito ne esco miseramente sconfitto.

Ogni giorno ascolto nuovi album, nuovi artisti, decine e decine di nuove canzoni mentre faccio altro (si deve pur portare il pane a casa…), distrattamente, con la mente che è costretta a concentrarsi altrove e con la musica che diventa solo un sottofondo, spesso piacevole, ma quasi trascurabile.

Ho addirittura preso la pessima abitudine di caricare tutte le nuove uscite sul mio lettore e ascoltarle in shuffle, nella speranza che, nel flusso ininterrotto di musica che si riversa attraverso gli auricolari, qualcosa attiri la mia attenzione, mi incuriosisca.

A volte, per fortuna (o forse perché il destino vuole che certi “incontri” avvengano), ho un’epifania. Mi è successo con una canzone dell’artista australiana Esther Edquist, in arte Sweet Whirl.

Mentre lavoravo, ascoltando musica, probabilmente meno distrattamente del solito, è partito un brano che ha assorbito immediatamente la mia attenzione e mi ha proiettato nel passato di circa trentacinque anni.
Ascoltandolo ho focalizzato i volti schivi e asimmetrici di due goffi post adolescenti inglesi, le loro voci così particolari (che sarebbero poi diventate inconfondibili), il loro understatement, la loro immensa capacità melodica celata dietro una coltre di introversione.
Insomma, per farla breve, mi sono subito venuti in mente i primi Everything But The Girl, una delle band più amate nella mia adolescenza.

Il brano, “Make That Up For Me”, un vero e proprio capolavoro “minore” fatto di melodia sopraffina, voce suadente e discrete note di pianoforte,  è una delle dieci canzoni che compongono l’album d’esordio di Sweet Whirl, “How Much Works”, lavoro che, fino a quel momento, nonostante lo ascoltassi già da un po’, non mi aveva particolarmente colpito.
Invogliato dalla scoperta di questa lucente pepita, tuttavia, non ho potuto fare a meno di continuare a scavare. E mi sono trovato, così, di fronte, a un intero tesoro.

Esther si è presa molto tempo per scrivere e incidere il suo album d’esordio e sarebbe giusto concederle altrettanto tempo per imparare ad amarlo: “How Much Works” è un’opera riservata, di delicato romanticismo, fatta di canzoni eleganti, carezzevoli e gentili.
La magnifica “Conga Line” (non a caso l’unico altro brano, oltre a “Make That Up For me”, nel quale Esther si fa accompagnare da una voce maschile) racconta, con grazia, quasi con il sorriso sulle labbra, della difficoltà di amare una persona depressa (“It hurts a little every day / but I ain’t gonna cut and run“) .
“Weirdo” ha a che fare con la sensazione, universale, di sentirsi strambi, mostruosi e con la capacità di accettare se stessi e le proprie stranezze.
“Make That Up For Me” procede per immagini e suggestioni e racconta in retrospettiva una storia di amore folle e
di accettazione.
“Patterns of Nature” è una lunga carezza, fatta di pianoforte e di un drumbeat rinfrescante e diretto che si dissolve verso la fine in vortici elettronici, incentrata sul conflitto tra il tentativo di trovare un ordine naturale nella vita e quello di combattere l’ineluttabilità del destino.

Se l’e.p. dello scorso anno flirtava con il lo-fi e con registrazioni polverose e voci ovattate, stavolta Sweet Whirl si mette al centro della scena e spiega la sua voce straordinaria, calda e piena di personalità, fatta di nuances e di eleganti cambi di tonalità.
Tutto, in questo lavoro, è misurato e confezionato con attenzione e pazienza. Con amore.

Esther riesce a trasformare storie personali in narrazioni universali, così come hanno fatto prima di lei Joni Mitchell, Tracey Thorn, Natalie Mering e Laura Marling.

Il risultato finale è un disco che si insinua timidamente e che, mano a mano che l’ascolto procede, occupa sempre più spazio, che sembra trascurabile e diventa, parola dopo parola, nota dopo nota, indispensabile, che brilla per la sua freschezza ed, eppure, suona, già dopo pochi “giri”, un classico imprescindibile.

Stavolta ho segnato un punto a mio favore nell’eterna lotta contro disattenzione e superficialità. Grazie a Sweet Whirl.

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