Khruangbin – Mordechai

Mordechai

Carlotta Corsi per TRISTE©

È ufficiale: è estate.
Come tutte le estati che si fanno attendere (questa forse un po’ più delle altre) ci sono tutta una carrellata di aspettative, legate alla longevità della luce, alla possibilità di prenderti quella pizza fuori in giardino, a quei weekend tra mare e birra che non ricordi più se galleggi nell’alcol, che poi immancabilmente si trasformano in ore di sonno bruciate dal caldo, zanzare e liquidi fluorescenti spruzzati su braccia, gambe e ombelico e domeniche paurose su una spiaggia tra insolazione e congestione.

Ma l’estate è bella.
In estate ti sembra di sognare ad occhi aperti e ti sembra che ogni giorno sia il giorno giusto per partire e fare un viaggio.
Che poi è l’unica cosa che ci è stata limitata, almeno per quest’anno, senza contare le fiamme e il permafrost.


Quindi si, quest’anno più che mai sento il bisogno di fuggire e di vagare nel mondo con l’ausilio della sola mente e i Khruangbin (che in tailandese significa “aeroplano”) ci riescono bene da sempre, ma a questo round lo fanno con il loro ultimo lavoro, “Mordechai”.

Il gruppo di Houston, probabilmente ne saprebbero un paio sul caldo Texano, ma ne sanno sicuramente di più di fluidità sonore e di capacità di trasporto da un luogo all’altro del pianeta, facile e in poco tempo.

Il loro genere è “senza genere” e spazia dal soul al surf al funk psichedelico, o almeno così passa al nostro orecchio.
Mark Speer, chitarrista della band, non è d’accordo e, anzi, dichiara che il concept dietro al gruppo è proprio quello di “think inside the box” in quanto la musica per loro non è un’esperienza prettamente sperimentale, ma decisamente direzionata e ben precisa.

Molto difficile da credere quando li si ascolta: spesso strumentali i loro brani possono comunque presentare delle lyrics ben strutturare e super funzionali che evocano quel bellissimo sole caldo tipico delle zone aride del sud degli Stati Uniti, quasi come fosse un leit motiv, una splendida traccia unica da ascoltare in macchina.

Dopo aver aperto il Tour di Bonobo nel 2014, la crescita della band texana e i riconoscimenti loro tributati sono stati esponenziali.

Mi è difficile essenzialmente riconoscere la natura di un brano rispetto all’altro, distinguerlo nella forma generale, ma non penso affatto sia un fattore negativo, piuttosto trovo un enorme punto comune tra testi e percussioni che si mescolano al meglio in questo terzo album, a differenza dei precedenti.

La loro formazione nel gruppo Gospel della chiesa disciplina da sempre in maniera tecnica tutti i loro album e qui il risalto viene spostato sul lato sonoro e produttivo: effetti echeggianti al limite della chiarezza e trasparenza – cioè: ok molto blurred, ma davvero super riconoscibili.

Father Bird, Mother Bird, One to Remember e So We Won’t Forget racchiudono nelle loro note il concetto e il senso stesso del disco.
Quello dei Khruangbin è un vocabolario personale, nuovo ed estremamente fresco, nonostante la ventata d’aria calda che ti assale durante l’ascolto, molto onesto e in evoluzione.

Mordechai è anche il primo dei tre loro dischi a essere uscito in estate, forse l’estate più calda di sempre (sperando possa essere poi davvero l’ultima a battere certi record infami).

Ci auguriamo che la luce su questo viaggio from Texas possa ancora portarci lontano, to somewhere, magari la prossima volta al fresco e senza zanzare.

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