Carlotta Corsi per TRISTE©
Sono stati cinque mesi silenti, ma sapevo benissimo che avrebbero portato il loro frutto a maturazione solo in estate.
Sì, perché la quarantena in realtà ha solo irrigidito tutti quei brutti comportamenti e, talvolta, quei distanziamenti sociali che già attuavo nel mio quotidiano e indubbiamente la riapertura delle frontiere ha scoperchiato la grande voragine d’inadeguatezza e ansia che raggiunge il suo culmine in particolar modo ogni volta che devo usufruire del servizio Trenitalia. Chissà come mai.
Destino vuole che il venerdì 17 mi ritrovo su un treno diretto a Firenze, dove avrei fatto il cambio per un intercity verso Portogruaro e, mentre allegramente parlo con un’amica, ricontrollo il biglietto sul telefono e mi accorgo di aver sbagliato stazione, perché avrei dovuto scendere a Rifredi: ero a Santa Maria Novella, e di Marie e Santi ne ho tirati giù abbastanza.
Prendo un freccia velocissima ma è in ritardo, (qui mi ballava l’occhio). Arrivo a Bologna – non so se siete mai stati alla stazione centrale di Bologna, ma immaginatevela come un quadro di Escher o come il finale di “The Believer” – e io intanto ho circa 4 minuti di tempo per fare quei quattro piani.
Vabbè prendo il treno e poi è arriva mal di stomaco e mal di testa.
Una volta calma mi ricordo che quel giorno esce il terzo e omonimo album di Lianne La Havas, dopo cinque anni di “silenzio”, e mi chiedo se questo Venerdì 17 sta cercando di dirmi qualcosa.
Ascolto tutto l’album.
Sì, questo venerdì stava decisamente cercando di dirmi qualcosa: un soul intimo e una cover di una dei miei brani preferiti dei Radiohead, is it a dream?, Lianne ha fatto un super lavoro in questo disco: pulizia sonora e intenzione sono le sue caratteristiche principali.
Finalmente sento un contorno che eleva al livello giusto la sua voce e il suo splendido vibrato.
Bittersweet, prima traccia è qualcosa di molto simile a quello che io definisco il “brano profumato”, quel tipo di pezzo così ben strutturato che il suo profumo è immediatamente riconducibile a qualcosa di estremamente preciso, un sample di Isaac Hayes – come prima di lei i Portishead – profuma il tutto di quella “pioggia estiva” che è in grado di rigenerare.
Quello che troviamo in questo album è la divina commedia della Havas, la perdita e il risveglio della propria consapevolezza dopo la fine di un amore.
Green Papaya mi ricorda la sua vecchia “Gone”, da “Is your love big enough”, con uno schema meno distruttivo e dal suono più fluido, come una sorta di piccolo ruscello che porta la pace nel cuore di chi guarda l’acqua diventare qualcosa di indefinito mentre s’infrange tra i sassi.
“Weird Fishes” è la cover che affronta morbidamente a questo giro – alla musicista londinese infatti non è nuova l’idea delle cover e, anzi, credo faccia parte della sua identità in maniera integrante (un po’ come Ryan Adams).
Quella di questo ultimo lavoro della trentunenne Lianne è stata una lunga attesa che evidentemente doveva essere vissuta per poter essere raccontata.
Fun Fact: arrivata a Portogruaro sono stata accolta da una pioggia assolutamente non prevista. Ho sentito la mia pelle raffreddarsi e, strizzando gli occhi, mi sono accorta che qualcuno mi stava già aspettando con la macchina per portarmi a casa.
Che belli i dischi che escono in estate, che belli i ritardi attesi e che bella la sensazione di aver superato indenne un brutto momento. Grazie Lianne.