Anrimeal – Could Divine

Vieri Giuliano Santucci per TRISTE©

In questo presente che sembra non andare da nessuna parte se non ripetersi continuamente, dobbiamo sforzarci di divinare il futuro per renderlo reale e permettergli di agire retroattivamente generando quel cambiamento di cui tanto avremmo bisogno.

La musica, come sempre, può giocare un ruolo importante. Ma l’abbondanza che negli ultimi anni ha invaso il mercato musicale (anche questo ormai in un continuo presente che ripete sé stesso) ha portato al rumore: troppe informazioni, troppi bit, anziché rendere più chiara la lettura di quello che stava accadendo, hanno confuso tutto. Anche e soprattutto i pensieri.

Guardiamo al passato con nostalgia e facciamo binge eating di qualsiasi prodotto (purtroppo anche artistico) del presente. Si è persa la magia e l’immaginazione. E servirebbe un approccio magico per divinare tutti i futuri che potrebbero non accadere.
“Could Divine” è il debut album di Ana Rita de Melo Alves, portoghese di origine ma di base a Londra, che con il moniker di Anrimeal riesci nella difficile operazione di spalancare le porte del possibile (o di ciò che non sarà mai?).

ANa RIta de MElo ALves mescola, in quello che lei definisce Computer Folk, melodie che sembrano arrivare dai fantasmi del (proprio) passato, glitch elettronici provenienti da un futuro indefinito, atmosfere ambient, loop e droni. Il tutto sapientemente mescolato e prodotto dalla musicista portoghese che compone e “costruisce” (perchè questo è il termine giusto) in solitaria la quasi totalità dei pezzi.

La title-track è probabilmente quella che maggiormente esemplifica la complessità e la bellezza della produzione di Anrimeal: il piano e la voce di Ana aprono il pezzo sospesi in un passato senza fine che viene interrotto e spezzettato dalle incursioni di un futuro incombente e distorto: “In this world of unfamiliar diseases, I may catch one”.

L’amosfera evocativa e, appunto, “divinante” del disco pervade molti pezzi: in “Encoustic Witches” voci e droni generano inquiete atmosfere sulle quali la Alves pronuncia le liriche, al limite tra formula magica e corrotta preghiera.

Se non mancano momenti più accessibili, come l’iniziale “Marching Parades”, i pezzi del disco sembrano essere il risultato di stratificazioni successive che incastrandosi una sull’altra generano una complessità che riesce a rimanere, grazie alla bravura di Anrimeal, sempre estremamente godibile.

Non so se e quando riusciremo a spezzare questo continuo presente, ma per farlo serve una sforzo di immaginazione. E dischi come Could Divine possono aiutarci a trovare quella forza.

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