Francesco Amoroso per TRISTE©
Esistono alcuni termini inglesi di cui sono innamorato da sempre. Termini che, se tradotti in italiano, perdono parte del proprio significato, delle loro sfumature, spesso il senso stesso.
Uno di questi termini è effortless che sarebbe banale tradurre con “senza sforzo” o “facile”, ma che, almeno alle mie orecchie, non di esperto ma di semplice appassionato dell’idioma albionico, ha un significato più profondo: è riferito a qualcosa che riesce sì senza sforzo, ma anche quasi senza tentare, a un risultato che si raggiunge con naturalezza e con piacere e gioia.
Mi è venuta ancora una volta in mente questa parola bellissima, ascoltando “Days Of The Rock”, il nuovo album di Matt Randall, in arte Plantman, uscito a sorpresa (era da tempo che Matt ne parlava, ma sembrava che la data di uscita non dovesse arrivare mai) solo qualche giorno fa.
Semplice, scritto, suonato e inciso senza sforzo apparente, con il piacere e il gusto di fare le cose che si amano. Sono queste, anche stavolta, le prime sensazioni regalate dall’ascolto delle nuove tredici canzoni del nostro giardiniere preferito.
“Days of the Rocks” si muove sulle stesse coordinate delle precedenti (magnifiche, tutte) uscite di Plantman: canzoni che risplendono quietamente di una bellezza schiva e sempre vagamente sfocata, raffinati studi acustici intrisi di spleen e bagnati di rugiada, eppure rischiarati e riscaldati dal sole che filtra tra le foglie.
Racconta Matt che stavolta l’idea era quella di scrivere un disco decisamente “pop” e, in effetti, le melodie sono spesso accattivanti e luminose, ma è sempre la malinconia a caratterizzare il mood dell’album (“ho sempre scritto molto di più nei mesi invernali e i toni malinconici tendono sempre a insinuarsi alla fine e inevitabilmente”).
Matt ci dice anche che raggiunta la maturità (artistica e personale) si sente più a suo agio con la nostalgia e che ha cercato, nella scrittura e nella registrazione, l’immediatezza di artisti come Micheal Head, Magnetic Fields e Forster e McLennan.
Personalmente la malinconia e la nostalgia sono elementi che finiscono sempre per conquistarmi, ma è bene che non si esageri e non si scada dalla nostalgia nel rimpianto e dalla malinconia nella disperazione.
Ecco, è proprio in questa sottile, ma sostanziale, differenza che eccellono le composizioni di Plantman: le sue canzoni sono sempre malinconiche e nostalgiche, eppure trasmettono (senza sforzo apparente…) un sentimento di quieta felicità, di tranquillo e intenso coinvolgimento emotivo.
In “Days Of The Rocks” , ad affiancare Matt, ci sono il compagno nei Ghost Music Leighton Jennings, Adam Radmall che torna a collaborare dopo tanto tempo, la voce di Michelle Bappoo e il genio (purtroppo mai del tutto compreso) di Roy Thirlwall dei Melodie Group (che ha scritto il testo e cantato l’ultima traccia). Le tessiture sonore dei brani ne escono impreziosite, le melodie suonano rigogliose e scorrono in modo naturale (effortless…) e la voce di Matt suona come una timida carezza.
Tutto l’album (ma si potrebbe dire, senza tema di smentita, tutta l’opera di Plantman) restituisce un’atmosfera intima e calda, sempre in perfetto equilibrio tra la ballata folk e una tenue deriva slowcore.
Matt cura le proprie canzoni con la modestia, l’affetto e la dedizione con cui, ne sono certo, accudisce giardini, piante e fiori (perché è questa la sua occupazione nella vita, oltre alla musica): e questo amore, questa certosina ricerca della bellezza (e mai della perfezione) traspare in ogni nota, in ogni parola, in ogni composizione, facendo sì che “Day Of The Rocks” sia un album meravigliosamente onesto, un lavoro che scaturisce dall’anima, un profumato cespuglio di diafani fiori di campo dai colori delicati.
Non credo di poter parlare per tutti, ma sentivo (anche più del solito) il bisogno di album come “Days Of The Rocks”, un vero e proprio balsamo per questi tempi travagliati, un amico che ti avvolge nel suo caldo abbraccio, il fertilizzante adatto perché nel mio petto, a dispetto dell’oscurità che ci circonda, riesca di nuovo a nascere un fiore.
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