Francesco Giordani per TRISTE©
Mentre scrivo queste righe i Maxïmo Park sono al secondo posto dell’album chart britannica, sopra Dua Lipa, Alice Cooper e The Weeknd ma sotto i misteriosi Architects (nel frattempo sono andato a controllare su Wikipedia: “a metalcore band from Brighton, East Sussex”). Solo una settimana fa, al vertice di quella stessa classifica, sono transitati addirittura i Mogwai ed era peraltro la prima volta che agli Scozzesi riusciva una simile impresa.
Sebbene queste cose debbano contare il giusto (ovvero, oggigiorno, assai poco), da che mondo è mondo fa sempre piacere ritrovare la band che tanto si ama nelle parti alte di un hit parade nazionale. Ci si sente meno soli, in un certo senso. Da questo punto di vista non posso nascondermi dietro un dito: la band di Newcastle è da sempre fra le mie favorite, perlomeno sul versante di quello che amo chiamare “rock d’arte” inglese.
Ergo: ho comprato, per ragioni etico-sentimentali ormai facilmente comprensibili, “ad occhi chiusi” (e ben due mesi prima della sua pubblicazione) l’edizione potenziata del nuovo disco dei Maxïmo Park che, assieme alla primavera, attendo con ragionevole impazienza di trovare nella mia cassetta della posta, Royal Mail permettendo. E, come me, immagino tanti altri, a giudicare almeno dalle classifiche.
A dirla tutta, qualche anno fa ai Maxïmo Park ho persino dedicato una poesia, nella quale cercavo di mettere in rima la tensione “spartana” della band ma soprattutto il suo riuscire a raffigurare, quasi plasticamente, una certa fuggevole “aria” di giovinezza d’inizio millennio (non troppo artefatta, non troppo vanitosamente hipster), che l’atletismo esuberante del cantante-saltatore Paul Smith elevava al rango d’icona. Una forma di eroismo “debole”, nel quale era (ed è) per me del tutto naturale riconoscermi.
Al Maxïmo (Park)
O dell’atletico salto
che pure la vita
-sognata?-
aveva promesso:
sempre più in alto.
Quel dire
prima di ogni mai più:
adesso.
Nient’altro.
Condivido questi versi maldestri con un certo imbarazzo misto però a segreto orgoglio, avendo valide ragioni per credere di essere l’unico poeta (ehm… facciamo versificatore), almeno in Italia, ad aver dedicato una poesia, per quanto piccola, ai Maxïmo Park.
Chiusa questa assai discutibile parentesi letteraria, che credo comunque strapperebbe ai Maxïmo Park una carezza d’incoraggiamento (anche loro infatti amavano declamare poesie durante i concerti), torno volentieri al disco.
I Maxïmo Park hanno registrato ed in grossa parte anche composto le canzoni del loro settimo album, non casualmente battezzato Nature Always Wins, durante i mesi del lockdown, con l’aiuto del produttore americano Ben H. Allen (al lavoro, fra le altre cose, su Merriweather Post Pavilion degli Animal Collective e storico collaboratore di Deerhunter e Washed Out).
Divenuti un trio in seguito alla dipartita del tastierista e membro fondatore Lukas Wooller, gli Inglesi si sono rimboccati le maniche, firmando un lavoro fresco e ispirato che, dopo una striscia di prove discografiche al più opache (ma in crescendo, questo va detto), soffia via un bel po’ di polvere da spartiti e strumenti.
Gli elementi in gioco sono sempre gli stessi: new wave (in bilico fra Gang of Four, primi Wire, primi XTC) e indie-rock (dai Go-Betweens ai R.E.M.), in uguale dosaggio, ricombinati tuttavia in una formula compositiva che è sempre piacevolmente personale e, almeno per me, subito riconoscibile.
Grazie al consueto, felice, equilibro tra chitarre e tastiere (con una prevalenza delle prime), il disco aggiunge al canzoniere della band diversi motivi di pregio. Fra essi Versions of You, Placeholder, Ardour (in duetto con Pauline Murray dei Penetration), Why Must a Building Burn? (sulla tragedia della Grenfell Tower) e soprattutto Baby, Sleep, ispirata dalla paternità di Smith (e relativa insonnia): “What are all these balloons/ Doing in my front room?/ We made this stranger’s house a home/And now I’m alone in this stranger’s home/ What are all these buffoons/Doing in my front room?“
Fino all’apoteosi, questa sì davvero poetica, della bellissima All of Me: “This song is where you belong / This is all of me / If I can’t include you / If art is apart / Well then I disagree”. Parole che mi convincono che no, non ho sbagliato neppure stavolta a scommettere al buio sulla musica che amo.
Tanto mi basta.