Mark Fisher – Scegli le tue armi (Scritti sulla musica)

Francesco Giordani per TRISTE©

All’indomani dell’ennesima sconfitta politica, la sinistra italiana è tornata serenamente a fare quello che da sempre le riesce meglio ovvero martirizzarsi, intonare il vibrante quanto monotono peana dei “contenuti” e, soprattutto, discutere del prossimo segretario di partito.
Potrebbe invece, la sinistra italiana, tornare utilmente a studiarsi un po’ di “fondamentali” o, almeno, provare a riprendere in mano le centocinquanta paginette di Realismo Capitalista di Mark Fisher. Che è esattamente ciò che ho fatto io, con piacere sottilissimo misto a sadica disperazione, il giorno dopo l’esito delle ultime elezioni.

Pensare che la cosa più vicina ad un “manifesto” della sinistra del futuro sia stato scritta da un critico musicale (fra le altre cose), mi rende non poco orgoglioso, oltre che meno in ansia per tutte le ore buttate in questi lunghi anni ad ascoltare dischi, lo confesso. Un bel colpo, non c’è che dire, per la categoria di “pensatori” per il resto meno influenti di tutto il sistema intellettuale occidentale (basti il livello delle classifiche discografiche contemporanee come prova della loro “antiegemonia” culturale…).

Nel libro che Fisher pubblicò nel 2009 (è tradotto in italiano da Not) c’è davvero tutto, con il plus non trascurabile di una densità concettuale, di un’agilità e limpidezza argomentative che raramente s’incontrano in testi di analoga natura. Il triplice collasso burocratico, psichico e ambientale che ci travolge, l’autosorveglianza che ciascuno esercita sulla propria efficienza produttiva, l’onirica quanto malsana idea “che il mondo in cui viviamo sia una solipsistica illusione o una proiezione partorita all’interno della nostra mente, che, anziché disturbarci ci consola, perché combacia con le nostre fantasie infantili di onnipotenza”, il nostro non credere più nel significato di quel che facciamo e, ciononostante, il nostro kafkiano continuare a farlo ogni santo giorno senza battere ciglio, la necessità di un’”ascesi” e di un’”austerità” da intendersi non già come decrescita felice delle docce giornaliere (sigh…) quanto piuttosto come limitazione, attenuazione di un desiderio indotto fuori controllo. Sono quelli appena elencati solo alcuni degli innumerevoli snodi problematici di un testo bellissimo di cui però non vi parlerò oltre (leggetelo, se non l’avete già fatto).

Quello di cui vi parlerò è invece un altro libro, postumo, nel quale sono stati raccolti gli articoli che Fisher pubblicò sul suo blog k-punk dal 2003 fino a poco prima della tragica morte, avvenuta nel 2017. L’originale volume unico inglese (k-punk: The Collected and Unpublished Writings of Mark Fisher, Repeater Books, 2018), è stato dalla nostrana Minumum Fax molto ragionevolmente ripartito in quattro tomi “tematici” (politica, cinema e tv, musica, letteratura), quasi a sottolineare la vastità di interessi, discipline e orizzonti culturali che animarono la preziosa ricerca speculativa del filosofo di Leicester. Non serve specificare quanto la musica fosse matrice essenziale, primaria, di quella ricerca speculativa: Mark Fisher, come svela l’amico Simon Reynolds nella splendida prefazione, fu a sua volta musicista “concettuale” nei primi anni 90 nonché, nei successivi 2000, vicedirettore della rivista The Wire, tanto per dire.

Formatosi nei tardi anni 70 assimilando gli scritti dei prediletti nouveaux philosophes della critica musicale britannica Paul Morley e Ian Penman (leggenda vuole che il New Musical Express perdesse all’epoca metà dei lettori a causa del loro stile astruso e teorizzante), Fisher mutua dalla stagione delle avanguardie post-punk -magistrali in questo senso i saggi retrospettivi su Roxy Music, Cure e gothic rock, Scritti Politti e The Fall- un’idea centrale, che è alla base di più o meno tutte le sue valutazioni e osservazioni critiche intorno alla produzione musicale contemporanea.

L’idea, in estrema sintesi (e per quel che posso capire), è che la musica “pop” abbia significato artistico e un misurabile valore estetico-politico solo se e quando esprime una “teleologia” evolutiva (il termine chiave è modernismo popolare), ovvero “l’impressione di un movimento in avanti”, verso la novità, l’inascoltato, il futuro.

Tale prospettiva teorica, che negli scritti di Scegli le tue Armi affiora con maggior forza soprattutto quando si ragiona di musica elettronica anni 90 e di “hardcore continuum”, è stata poi ripresa e sviluppata compiutamente (ma sempre in dialogo “a distanza” con Fisher) dal collega Simon Reynolds nell’assai fortunato saggio Retromania, com’è noto. Un testo che, nel profetizzare/denunciare la deriva progressivamente “retro-nostalgica” della nostra (post)modernità culturale ha di fatto contribuito in maniera decisiva alla “pietrificazione” di uno stato di cose che da allora si dà acriticamente per acquisito, naturale, irreversibile (contrariamente a quel che lo stesso Fisher e credo anche Reynolds auspicassero).

Lo ammetto, non sempre si riesce ad esser d’accordo con le idiosincratiche e taglienti intuizioni fisheriane, soprattutto quando assumono un che di involontariamente “scaruffiano” (“molto più efficaci di imitatori stupidi e noiosi come i Suede, oggi grazie al cielo del tutto dimenticati, i Moloko si ricollegano al disc-conituum glam, che a fine anni 80 si era apparentemente estinto a causa della cultura dell’equità dell’acid house”). Ma tanti, tantissimi anzi, sono i concetti che fanno luce, chiarificano tendenze, stabiliscono connessioni. Uno su tutti? Il Relativismo Edonico Deflattivo (“ci piace ciò che ci piace, senza nessuna teoria”), vero dogma anti-intellettualistico ancor oggi operante per il quale “se il pop non è altro che un problema di autostimolazione edonica, lo stesso vale per Shakespeare e Dostoevskij. Leggere Milton e ascoltare i Joy Division sono attività riclassificate semplicemente come due diverse scelte del consumatore, il cui valore non riveste più significato della marca di dolci di vostro gradimento”.

La speranza è che la strada critica tracciata da Fisher, non di rado impervia e disorientante, possa continuare ad essere battuta, frequentata, ampliata, proseguita. Da essa potrebbe infatti ancora scaturire una svolta, il superamento fattivo di quell’impasse che il realismo capitalista impone alla nostra cultura e al nostro immaginario collettivo.

Come osserva Simon Reynolds: “la sua missione principale consisteva nell’identificare l’avanguardia e fare proselitismo a suo nome, emettendo al contempo raggi laser negativi per screditare le traiettorie sbagliate e fare spazio alla vera musica del nostro tempo. Ma oltre a offrire sostegno militante alle novità radicali, il critico messianico aveva il compito di porre sfide alla musica, e anche ad ascoltatori e lettori.”

Mark Fisher
Scegli le tue armi. Scritti sulla musica K-Punk/3
Traduzione di Vincenzo Perna
Pp. 287
Minimum Fax
2021

Il libro può essere acquistato qui.

Una playlist fisheriana da ascoltare durante la lettura:

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