The Libertines – Up The Bracket 20th Anniversary

Francesco Giordani e Tiziano Casola per TRISTE©

20 anni di “Up the Bracket” dei Libertines (2002-2022): colloquio con le nostre coscienze del tempo.

Francesco. Up The Bracket compie venti anni ed io non riesco a crederci. Venti anni sono tantissimi, forse troppi, e del mio 2002 ho ricordi così imperdonabilmente vaghi. Ricordo però che verso il 2000, con il progressivo inaridirsi del brit pop, avevo smarrito gran parte del mio maniacale interesse per la musica “rock” classica. Dopo Kid A, il dilagare dell’elettronica, le vacue carezze sentimentalistiche dei Coldplay e dei loro spesso intollerabili epigoni, mi sembrava tutto irrimediabilmente finito, archiviato o poco stimolante. Era come calato un metaforico sipario sul candore dei miei anni 50…

Poi, d’improvviso, alcuni bizzarri video degli Strokes ospiti del programma MTV 2$ Bill -con quella loro fotografia così grezza, sgualcita, eppure perfettamente acconciata allo stile negligente e un po’ sbattuto della band-, accendono una miccia nel mio cervello. Presto quella scintilla divampa nel fuoco di una nuova, fiammeggiante passione per una musica che allora (e ancor oggi) non aveva un nome preciso se si esclude la generica e un po’ fallace etichetta “indie”. Fra il 2002 e il 2004, tra le vivacissime lingue di quel fuoco, inizia a profilarsi la sagoma sempre più netta dei Libertines. Siccome non ricordo con esattezza in quali circostanze avvenne il mio incontro con la band (ogni giorno scoprivo su MTV gruppi nuovi e faticavo non poco a tenerne traccia nei miei taccuini), ti chiederei di raccontarmi come avvenne il tuo, in quelli che sono stati, nel bene e nel male, i nostri anni 60…
Vorrei però che a parlare fosse proprio la tua coscienza di allora, disordinata, umorale e senza troppi filtri, com’era all’epoca e anche oggi la musica dei Libertines…

Tiziano. Il mio incontro con i Libertines avvenne su Tutto Musica, la rivista, ma nel 2004. All’epoca di Up The Bracket ero decisamente troppo piccolo, facevo la seconda media e solo l’anno dopo avrei iniziato a interessarmi alla musica alternativa. Infatti, il 2003, se ricordi, fu l’anno di Seven Nation Army, di Room on fire degli Strokes, di Canzoni dell’appartamento di Morgan, del primo dei Mars Volta, o anche del disco postumo di Joe Strummer (anche questo annuario mi è rimasto stampato in mente da un numero di Tutto Musica, e ancora una volta ciò conferma quanto, in epoca pre ADSL, certe informazioni venivano memorizzate alla perfezione). Seppi dell’esistenza dei Libertines nel 2004, leggendo una recensione del loro secondo disco. Mi ricordo il racconto di Pete Doherty che va a rubare in casa di Carl Barat (ora dal web apprendo che però vivevano insieme), la garanzia che la band fosse prodotta da Mick Jones dei Clash e una foto in studio con le chitarre Epiphone. La verità è però che passò del tempo prima che potessi ascoltare la band. Il merito fu di Mtv Brand New e del videoclip di What became of the likely lads, che mi faceva pensare a certi quartieri di Aprilia (fate un confronto, usate Google Maps). I dischi poi li ascoltai per intero solo nel 2006 o 2007, quando ebbi la possibilità di scaricarli con E-mule. Ormai già sciolti, i Libertines accompagnarono i miei 17 anni, ovvero l’età che più o meno avevi tu quando uscì Up the Bracket. In questo siamo stati coetanei, si può dire. Sto però parlando col senno di poi e forse bisognerebbe chiamare a parlare per noi le nostre coscienze dell’epoca. Dunque, chiamiamole a raccolta.

 “Eccoci”.

Francesco: Chi parla?

Le vostre coscienze di diciassettenni. Siamo qui per mettervi di fronte alla Verità, o perlomeno a una delle tante possibili”.

Francesco2002: Del disco d’esordio dei Libertines c’è una prima cosa da dire e cioè che lo ascolto in cuffia quasi ogni giorno, camminando dalla stazione Cotral di Latina sino alla biblioteca comunale, dove vado a preparare i miei primi tre esami universitari (alla fine ne darò uno solo, in perfetto stile dohertiano). Non sento il disco nel lettore mp3 bensì attraverso un lettore cd portatile, che tengo nella tasca del cappotto. Il cd è scaricato e successivamente masterizzato, com’è ovvio. So che un giorno lo comprerò e getterò con soddisfazione la mia copia pirata con scaletta trascritta a mano. Dell’album mi colpisce la sua struttura pericolante, la grafia appena abbozzata, questa sua paradossale solidità al tempo stesso fragilissima eppure indistruttibile, da pugile ubriaco che incassa i pugni e non riesci mai a stendere. Un modo di stare dentro l’arte e la vita, quello di Barat e Doherty, che mi fa pensare al circo di strada, agli espedienti dei ragazzi di vita, alla romantica mitomania degli scappati di casa. Un dandismo zingaresco, anzi monellesco, dalle scarpe bucate, che già al primo ascolto mi pare descrivere appieno lo spirito giovane del nuovo millennio. Leggo da qualche parte che l’album è registrato da Mick Jones dei Clash in presa diretta, con metodologia calcistica, suonando e risuonando tutti insieme e poi si sceglie la versione migliore. Voglio dire, parte Vertigo, tutta scassata e con quel miracoloso ritornello che in dieci secondi scarsi rimette ogni cosa perfettamente al suo posto, e non puoi non chiederti “ma come ci sono risuciti?”

Dirty_Pretty_Kid-89: Sei il solito edulcoratore. non è vero che ti saresti chiamato semplicemente “Francesco 2002”, ma avresti scelto un nickname vagamente meno sobrio, come “KiErK3GaArD°°°85” oppure, perché no, “StYliSh KiD iN tHe RiOt”. Guarda che bel nickname che ti ho trovato: Stylish Kid in the Riot. Anzi, se all’epoca ci avessimo intitolato un qualche blog di questioni indie saremmo diventati un punto di riferimento. Immagina solo questo, vedi una ragazza in abiti a pois e ballerine che dice all’amica “ascolta questo gruppo, l’ho scoperto su stylishkidsintheriot.blog.net”. Che effetto ti fa? Anche la mia, di vita con Up The Bracket, si è svolta tra lettori cd portatili e fermate Cotral. Il disco originale non l’ho mai comprato però, rimandando sempre a qualche ipotetica calata di prezzo futura, finendo poi per non darci più peso. Sento però, amico mio, che manca ancora qualcosa per essere davvero tardo-adolescenziali. Serve qualcosa che riesca a farci mettere da parte il senno di poi, qualcosa che ci porti davvero in quei giorni. Lo sai che cosa? Te lo dico io: un diario. E con “diario” intendo l’oggetto-diario, il Comix o la Smemoranda in cui scrivevi tutto tranne che i compiti. Dove gli amici maschi ti disegnavano i cazzetti e le compagne di classe magari un “tvb”.

Coscienze in coro: “Volete voi davvero penetrare in quello spirito? Volete davvero che quello spirito di involontaria ma appassionatissima imbecillità si impossessi di nuovo di voi?”

Francesco. Ovviamente sì

Tiziano. Ci metterei la firma

Coscienze in coro “Esiste allora un’unica maniera: sciogliete questo acronimo, una lettera a testa. Via!”

U come Union Jack. L’esser inglesi dei Libertines non è qualcosa di accidentale. Anzi direi che la loro inglesità, così voluta così esibita, è seconda solo a quella degli Smiths. Il termine da utilizzare qui è ben specifico: Albione, ovvero l’antico e preromano nome dell’Inghilterra che, prima di intitolare una canzone dei Babyshambles, battezzò una casa condivisa da Barat e Doherty a Londra e ricorre anche in Up The Bracket nei versi kinksiani di The Good Old Days. “The arcadian dream so fallen through/ But the Albion sails on course“. Ecco, questo significa forse essere inglesi: rimpiangere qualcosa che è da sempre in rovina ma che pure ti dona il diritto di soffrire nobilmente per amore e nostalgia.

P come Punk. Nessuno lo sa definire eppure chiunque può riconoscerlo, se è veramente tale. Ovviamente mi guardo bene dall’azzardare una definizione. Eppure se qualcuno nel 2002 mi avesse chiesto per lo meno un esempio credibile di punk contemporaneo avrei indicato senza dubbio i primi 50 secondi di Horror Show. Voglio dire, li avete sentiti?

T come tè. Ti ricordi quando a Bristol vedemmo in vendita il tè dei Libertines? La Yorkshire Tea aveva fatto delle scatole speciali nel periodo del loro ritorno sulle scene (queste!). Io mi commossi e appena tornato a Roma chiamai la Feltrinelli per avere il loro ultimo cd la mattina stessa in cui usciva.

H come Hotel. Mi viene in mente l’albergo della gita scolastica di quarto superiore e alcuni dischi che circolavano nei lettori portatili (per amore della cronaca: il primo dei Kings of Leon / il primo degli Editors / il terzo degli Strokes / Gemstones di Adam Green non lo comprai perché costava troppo / poi non ricordo più)

E come Epiphone Wilshire/Coronet. Non sai quanto era difficile all’epoca capire come si chiamavano quei modelli di chitarre che suonavano Pete e Carl. Riuscì a scoprirlo tramite un catalogo cartaceo del marchio, in un noto negozio di strumenti a Roma (il migliore, ma non facciamo pubblicità). L’estate 2006 a Praga, in vacanza coi miei, vidi una Coronet nera in vendita ad un prezzo follemente basso. Ma come me la portavo? Tornassi indietro…

B come Bassista (ruolo del). Chissà che tipo è John Hassall. Sembra uno che ispira fiducia, quello che riporta tutti a casa.

R come Ragazze Indie. Quelle che vedevi nei videoclip delle band ma anche ai concerti delle stesse, sebbene non così spesso. Che talvolta intercettavi e spiavi all’università, nella sala di lettura, a lezione o prima di un esame. Che poi sparivano mentre eri ancora alle prese con l’organizzazione di un piano per prestar loro una matita o magari una sigaretta che fingevi di saper fumare. Quelle ragazze indie con la frangia, le Converse e la maglietta a righine, esperte di Smiths e Belle & Sebastian. Che erano poi solo un’invenzione della tua mente plagiata dalla musica. Quelle ragazze che non hai dimenticato e a cui ogni tanto ripensi, svegliandoti nel cuore della notte e domandandoti “Dove saranno adesso? Cosa staranno facendo?”. Che resteranno per sempre ragazze indie.

A come Artistico. Credo fossi l’unico fan nel mio liceo sai? Ho solo un paio di sospetti… Farei quasi una rimpatriata giusto per verificare (ma come fanno gli altri ad odiare le rimpatriate del liceo?)

C come Carl, o come Capelli. Intorno ai diciassette anni avevo questi capelli ridicoli, sai quei tagli britpop… A me stava particolarmente male perché i miei capelli prendevano pieghe inaspettate. Ecco, ti confesso che me li feci crescere così a imitazione di Carl Barat. Ero buffo.

K come Kate Moss. Non ho nulla da dire in proposito ma credo che inserirla possa aiutare a posizionare l’articolo su Google.

E come Eccessi. Quelli che hanno caratterizzato tutta la parabola dei Libertines (che al marchese De Sade del resto devono il nome) così come il loro primo scioglimento. Eppure io credo che né la droga né il sesso né il crimine abbiano influito più di tanto sull’ispirazione musicale della band, aulica e giocosa, ironica, talvolta persino iperletteraria.  Semmai gli eccessi ne hanno rallentato e spesso anche ostacolato la produzione, donandole però quella vibrazione particolare di cosa salvata furtivamente dal disastro sempre imminente, di gemma luccicante estratta dal caos.

T come Tempo. Perché sono passati come detto 20 anni dall’uscita del disco eppure solo qualche giorno fa i “ragazzi nella band” erano a Milano a suonare le loro canzoni, con ventri pingui e teste imbiancate. Ma i cuori, a quanto pare, erano per fortuna ancora belli pimpanti. La speranza è che lo siano anche fra altri 20 anni. E noi con loro.

“You know I cherish you, my love”.

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...