
Francesco Amoroso per TRISTE©
“La mia teoria: la tristezza della sua maturità era di un ordine di grandezza superiore a quella della sua giovinezza e, con il passare del tempo, quella tristezza minore si era trasformata nei “bei tempi andati” “
(Alejandro Varela – Babylon)
A una certa età la nostalgia diventa una compagna di viaggio inevitabile (e, a volte, anche un po’ perniciosa). Se è vero che la predisposizione a un certo stato d’animo nostalgico e malinconico è spesso insita in noi (e, vi prego, sull’argomento leggete questa striscia dei Peanuts di Schultz, che vede protagonista Rerun (Ripresa) Van Pelt e che vale più di mille trattati specialistici), è altrettanto vero che la nostalgia, con il tempo, finisce per essere quasi un sentimento automatico con il quale leggere il presente (e ripensare al passato).
Forse non ci siamo mai goduti quei lunghi pomeriggi d’estate che sembravano infiniti. E’ probabile che il primo amore ci abbia fatto soffrire molto di più di quanto ricordiamo e che prima di ottenere quel primo bacio -che ricordiamo con immutato trasporto- il dolore sia stato atroce. E addirittura probabile che si stesse peggio quando di stava peggio e che tutti quei ricordi siano solo filtrati non tanto dagli occhiali rosa con cui guardiamo il passato, ma da quelli scuri di fuliggine e malumore con cui, invece, ci ostiniamo a fissare il presente.
Di nostalgia -ma non solo- si occupa, seppur ben piantato nel presente e decisamente poco incline ad edulcorare il passato, l’undicesimo (o dodicesimo) album in studio degli scozzesi Teenage Fanclub che, già dal nome scelto ben trentaquattro anni fa, sono sempre stati capaci di approcciare questo sentimento con realismo e con una giusta dose di ironia.
Nothing Lasts Forever arriva a due anni da Endless Arcade e da quell’album, un po’ dimesso e cupo, riparte: se a quei tempi i Fannies (…) superstiti non si trovavano nel loro momento migliore (e, del resto avevano intitolato il singolo trainante Everything Is Falling Apart…), tra l’abbandono, dopo trent’anni insieme, del sodale Gerard Love e la grave crisi coniugale di Norman Blake, con Nothing Lasts Forever gli scozzesi hanno deciso di darsi una scossa, lasciarsi il passato alle spalle e guardare avanti. Anche se a quasi sessant’anni -e, al solito, il titolo dell’album è decisamente significativo in tal senso- è inevitabile guardare avanti in maniera diversa, con un senso di ineluttabilità e un po’ di malinconia.
E’, del resto, da Shadows -del 2010- che gli album dei Teenage Fanclub non fanno altro che documentare l’evoluzione dei sentimenti di uomini sulla quarantina che si avvicinano ai cinquant’anni (e ora di cinquantenni che si avvicinano ai sessanta), che sono alle prese con l’invecchiamento e la mortalità e che devono combattere per trovare una sorta di accettazione e pace interiore.
Non è un caso che Nothing Lasts Forever sia arrivato proprio a fine estate: le ricche e meravigliose melodie e le sonorità dei dieci brani che lo compongono -nati nello studio gallese dove era stato registrato anche Howdy– suonano autunnali, riflessive e malinconiche. E’ il suono della fine di una stagione, degli ultimi giorni di caldo e luce dell’anno, dell’incipiente freddo e oscurità, laddove i pensieri si fanno più riflessivi e velati di malinconia.
Il folk rock crepuscolare di Tired Of Being Alone, che riporta verso il tanto agognato West, Self-Sedation, che parte con un disperato verso di William Blake (“Some are born to endless night“) e si dipana tra le straordinarie e autoironiche rime baciate che spesso caratterizzano i brani di Norman Blake (“No more doubt nor hesitation/ Getting high on self-sedation/ Living life in isolation“) o la magnifica ballata -già uscita lo scorso anno- I Left A Light On (“My life had lost its meaning/I was a lonely soul“), nella quale gli archi e il piano alimentano una scintilla di speranza che viene mantenuta accesa alla fine di una relazione, sono perfetti esempi dell’atmosfera che si respira il questo lavoro, ma non tutto è così velato di malinconia.
Uno dei temi ricorrenti di Nothing Lasts Forever è, infatti, la luce: oltre alla già citata I Left a Light On, è la luce il fulcro sia della brillante Back To The Light, forse il brano più “sbarazzino” dell’intero album, sia della quasi altrettanto luminosa See The Light (che vede anche un’arrangiamento di fiati, probabilmente campionati), anche se, mentre nel primo caso siamo di fronte a un classico riferimento alla speranza, nel secondo la luce è evocata come una sorta di destinazione finale.
Caratterizzato ancora dalle tastiere in primo piano, suonate sempre dall’ex Gorky’s Zygotic Mynci Euros Childs (che sarebbe bello vedere coinvolto anche in fase di scrittura, viste le sue straordinarie doti autoriali), e con il peso della scrittura sulle spalle dei soli Norman Blake e Raymond McGinley, ho avuto, ogni tanto, la sensazione che Nothing Lasts Forever rischiasse di suonare un po’ monocorde, eppure, man mano che mi sono inoltrato nell’ascolto, sono emersi gli inconfondibili guizzi melodici degli scozzesi e ho cominciato a percepire una brezza leggera, a intravedere cieli più aperti, raggi di sole che fanno capolino dal folto della vegetazione.
E’ vero che si tratta di composizioni decisamente personali e per lo più riflessive, ma le canzoni dei Teenage Fanclub non sono neanche stavolta disperate o sconsolate. I Glasvegiani invecchiano e vedono invecchiare gli amici di sempre e, tuttavia, le Nothing Lasts Forever riflette un mutamento nello stato d’animo dei loro artefici che, usciti da un periodo difficile, riescono a essere più ottimisti, facendo tesoro delle esperienze passate. Così suona quasi inevitabile che l’album si chiuda con i sette minuti di sonorità quasi Kosmiche di I Will Love You, manifesto di delicato ottimismo, che prova a cercare aspetti positivi anche di fronte alla triste realtà del 21° secolo.
I Teenage Fanclub scrivono delle loro vite e i Teenage Fanclub hanno vite ordinarie, fatte di momenti difficili e di risalite, di invecchiamento e di accettazione del passare del tempo. Ma sanno che nel mondano, nell’ordinario, c’è sempre poesia e i Teenage Fanclub, da oltre trent’anni, riescono a trasformare, con solo due note di chitarra e una rima baciata, la malinconia e la nostalgia in un’esultante pop song.
Eppure, anche con Nothing Lasts Forever, i Teenage Fanclub non hanno alcuna intenzione di cavalcare la facile nostalgia: non verranno mai a raccontarvi dei bei tempi andati o a esaltare il passato, quando era bello soffrire cantando Mellow Doubt (anche se a me il dubbio che quelli fossero tempi migliori un pochino rimane sempre).
Nothing Lasts Forever è forse un album ancora interlocutorio, come lo era stato il suo predecessore, ma è inevitabile che l’assenza di Love si facesse sentire.
E’ probabile che gli scozzesi non riusciranno più a toccare le vette dei loro indiscussi capolavori, ma, certamente, non si potrà mai dubitare della loro sincerità.
Ascoltare le voci e le chitarre di Blake e McGinley è sempre un conforto per l’anima.
E ogni nuovo album dei Teenage Fanclub mi fa sentire come se fossi tornato a casa.
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