Mary Lattimore – Goodbye, Hotel Arkada

C’è qualcosa di magico connesso al suono melodioso dell’arpa, un’aura soavemente celestiale capace di infondere quiete e riconnettere con lo spirito. Legato al mondo classico, questo strumento dalla qualità uniche si è man mano affrancato trovando spazio – grazie al lavoro di artisti talentuosi – in correnti musicali contemporanee spaziando dall’ambito ristretto dell’avanguardia fino al multiforme universo pop.

Tra gli autori più interessanti ascrivibili a tale categoria possiamo certamente collocare Mary Lattimore, rinomata arpista losangelina, nota per le tante incursioni in territori indie e mainstream (tra gli altri Thurstone Moore, Kurt Vile, Meg Baird, Sharon Van Etten e Jarvis Cocker), affermatasi gradualmente quale interprete di suggestivi itinerari di impronta ambientale.
In quest’ultima veste ha recentemente pubblicato il suo quarto album per la prestigiosa Ghostly International, dando seguito a quel superbo scrigno che è Silver Ladders.

Oltre alle coordinate stilistiche pressoché immutate, ulteriore elemento di continuità tra i due dischi è rappresentato dalla presenza del marchio Slowdive. Se Neil Halstead era in cabina di regia nel 2020 influenzando non poco alcuni tratti del suono, adesso tocca a Rachel Goswell patrocinare, prestando la sua vocalità diafana al tassello più etereo ed ammaliante posto in chiusura (Yesterday’s Parties).
Non si tratta dell’unica collaborazione attivata visto che la maggior parte delle tracce si avvale del contributo di amici/musicisti, tanto da rendere Goodbye, Hotel Arkada un vero e proprio lavoro corale.

Meg Baird e il sodale Walt McClements colorano e rendono ancor più lieve l’incanto di And Then He Wrapped His Wings Around Me, mentre Lol Tolhurst – storico componente dei Cure – aggiunge grana e ombre alle reiterazioni ipnotiche di Arrivederci.
Ma è Roy Montgomery in Blender in a Blender a marcare in modo più netto l’arte compositiva della Lattimore, spingendo verso inquieti versanti post-rock il flusso cullante di arpeggi in lieve crescendo e culminando in una coda satura e al limite della distorsione. Pur mantenendosi proiettata verso la profondità del cielo stellato, la musica rimane saldamente ancorata a terra per riflettere in modo elegiaco sull’impermanenza dell’essere, sulla caducità e sull’assenza, nutrendosi della malinconia instillata dalla scomparsa di quel luogo familiare su un’isola della Croazia citato nel titolo.

Ennesima dimostrazione della sensibilità rara di un’artista da non trascurare.

2 pensieri su “Mary Lattimore – Goodbye, Hotel Arkada

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