Ghost Marrow – earth + death

Abbandonarsi alle sensazioni, lasciarle fluire privandole di qualsiasi argine determinato da sovrastrutture mentali stringenti. È l’urgenza comunicativa e l’immediatezza realizzativa a contraddistinguere il terzo album di Ghost Marrow, progetto solista di Aurielle Zeitler, nota quale ex-componente dei Giant Squid e per aver collaborato tra gli altri con musicisti del calibro di Suzanne Ciani, Chelsea Wolfe ed Emma Ruth Rundle.

In risposta alla convivenza forzata con una rara malattia al midollo osseo, la polistrumentista americana scolpisce un universo sonoro toccante interamente giocato sul contrasto tra una vocalità morbida, tendente a divenire soffio flessuoso e un substrato elettrico/elettronico scurissimo. Tale dualità mostra chiare affinità con gli orizzonti agrodolci di Liz Harris e gli itinerari onirici di Alicia Merz, condividendone il portato altamente atmosferico e la carica emozionale ammaliante.

Punto di partenza delle sette tracce sono essenziali bozzetti sintetici disegnati con l’ausilio di un Roland Juno-60, successivamente ampliati e definiti attraverso un lavoro di stratificazione volutamente celere per evitare di togliere pathos al materiale di partenza.
Il canto dolente della Zeitler si muove vaporoso sulle trame risultanti, incidendone la profonda oscurità con il suo timbro nitido, mai incerto, che soltanto nella ruvida coda ambient-drone di microcosm cede parzialmente il passo ad un tono esasperato dal retaggio metal.
C’è una quieta angoscia indissolubile che si sprigiona da ogni singolo brano restituendo la sensazione di essere costantemente sull’orlo di un precipizio, inquietante nell’ipnotico pulsare di sung / conflict, terribilmente seducente in might of the small, apice di un viaggio introspettivo di grande forza ed impatto.

Coeso, quasi granitico, eppure ricco di preziose sfumature che lo collocano a cavallo di diversi generi  – slowcore, ambient, drone-folk –  earth + death si offre come una deriva commovente a cui abbandonarsi avvertendo “l’eleganza e la brutalità delle cose che sono vive”.

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