Ci sono cose che in giovane età guardi con paura, distacco e a volte noia.
Le stesse cose dopo tanti anni si trasformano in qualcosa di concreto, reale di cui non puoi più fare a meno. Bello Coltrane, sì ma vuoi mettere i R.E.M. Che casino che fa Coleman! Ma vuoi mettere i Notwist?
E cosa combina Albert Ayler? Cosa “significa”?
Sì, parlo del mio rapporto con il free jazz che, vuoi per cambiamenti personali, vuoi per desiderio di scoperta continua negli ultimi anni è cresciuto, si è cementificato ed ora non passa giornata senza che le mie orecchie non si vadano a posare su qualcosa che possa spostare l’asticella ancora più in là.
Sempre tenendo conto dei ritmi che deve sostenere un trentacinquenne in Italia per vivere o semplicemente sopravvivere, ma ci proviamo.
Antonio Raia è la mia ultima scoperta personale nella mia umile ricerca di queste nuove mete uditive da raggiungere. Asylum è il suo primo disco in solo, e per solo intendo solamente lui, il suo sassofono e i suoni di sottofondo dell’ex Asilo Filangieri dove è stato registrato il disco.
Raia prova a fare incontrare e fondere due mondi apparentemente agli antipodi: quello della tradizione napoletana e quello del free jazz alla Spiritual Unity di Ayler. Il tutto a modo suo, giocando sulle modulazioni e sui timbri, reinterpretando classici che sono irriconoscibili, passando con maestria da toni soft e atmosferici a scontri sonori tra il suo strumento e l’ambiente che lo circondava durante le registrazioni (Asylum è legato a doppio filo come concept al luogo dove è stato registrato), nutrendosi dello zeitgeist a tratti orrendo in cui viviamo (Refugees, Children of the Yard).
Il disco è uscito a fine 2018 ma per me è gia top ten “morale” del mio 2019. Se amate il sapore della scoperta e non avete paura di mettervi in gioco, Asylum potrebbe essere quello che fa per voi.