Francesco Amoroso per TRISTE©
È difficile crescere in una cittadina di provincia: la mentalità ristretta, l’impossibilità di essere solo uno dei tanti, di nascondersi tra la folla, la mancanza spesso totale di stimoli culturali e artistici.
Eppure la noiosa e ripetitiva vita di provincia offre anche piccoli vantaggi che, spesso, emergono solo in retrospettiva, quando si è ormai abbracciata la vita alienante della metropoli.
Uno dei grandi pregi della provincia è che ti porta ad avere una voglia quasi irragionevole di scappare, di allontanarti, di spiccare il volo, prima o poi.
Sembra assurdo parlarne come di un pregio, ma in molti casi avere una forte motivazione a modificare lo status quo, a maturare e raggiungere traguardi ambiziosi, si rivela fondamentale. La vita in provincia è, a volte inconsapevolmente, un trampolino di lancio insostituibile: si accumulano letture, ascolti, esperienze, frustrazioni, storie personali e comunitarie che, alla fine, possono portare a un’esplosione di vita che travolgerà la sonnolenta e noiosa quiete dell’adolescenza di provincia permettendoti di dare il via alla vita vera.
E, poi, solo in provincia sui possono incontrare quei personaggi unici che la popolano: patetici, teneri, eccentrici, geniali, fuori dagli schemi, sono una fonte inesauribile di ispirazione, tanto che molto spesso è proprio dalla provincia che arrivano alcune delle più ispirate e interessanti proposte musicali.
Gli Hobby Club sono un duo, formato da Beth Truscott e Joe Rose che, benché nato e attivo a Londra, pone, come nucleo fondante etico ed estetico della propria musica, esattamente queste idee: vivere in una piccola città di provincia, mantenere la propria unicità, cercare di superare gli ostacoli per spiccare il volo verso un futuro migliore e più appagante.
Non è un caso che il brano che li ha fatti conoscere, For Maurice, sia incentrato su una celebrità locale della città natale di Joe, Barrow, in Cumbria: lo sfacciato e assurdo, ma sensibile e creativo, Maurice G. Flitcroft, lavoratore del cantiere navale che, tuttavia, in ogni momento si sforzava di ottenere più di quanto le sue umili origini consentissero, studiando arte e letteratura e diventando in ogni campo di interesse, il migliore. Almeno a suo dire.
Il suono della band è un pop chitarristico che paga (felicemente) tributo al Johnny Marr degli esordi e il loro ep d’esordio, Video Days, è una delizia di jangle pop che gli appassionati del genere (e chiunque ami il pop indipendente e letterato di matrice anglosassone) non dovrebbe farsi sfuggire.
Le scintillanti chitarre e la peculiare voce di Beth conferiscono alle canzoni degli Hobby Club una coloritura che le rende profondamente personali e originali e che permette al duo di passare, spesso all’interno dello stesso brano, da toni plumbei e fuligginosi ad aperture brillanti e cristalline, seppur sempre venate di malinconia. L’inquieto sentimentalismo dei loro testi edifica elegie alla quotidianità, trova il sentimento nel grigiore, fa sgorgare lo spunto poetico da una tratta di autobus o dall’osservazione di un cantiere navale.
Proprio come il Maurice della loro (imperdibile) canzone d’esordio, Joe e Beth dimostrano, con la loro musica, che non è importante quanto possa sembrare assurdo il tuo obiettivo quando hai la convinzione di poterlo raggiungere, anche a discapito delle opinioni altrui.
Non posso sapere se Video Days sarà l’inizio di un bellissimo romanzo o è solo un piccolo racconto perfetto che non riuscirà ad avere un seguito e, quindi, invece di farmi domande inutili e oziose, mi godo questa rilucente gemma proveniente ancora una volta dalla grigia provincia inglese.
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