Francesco Amoroso per TRISTE©
Fino a qualche anno fa i fumetti venivano giudicati un prodotto sottoculturale, fatto per bambini e senza alcuna pretesa artistica, a volte addirittura diseducativi: chi, come me, ha qualche primavera sulle spalle ricorderà sicuramente di essere stato, almeno una volta, apostrofato da un genitore o da un nonno: “Ancora a perdere tempo a leggere i fumetti? Inizia a leggere libri veri”.
Sembra ieri. Eppure ne è passata di acqua sotto i ponti.
Da tempo, ormai, il fumetto ha cambiato target, rivolgendosi spesso agli adulti, è assurto a opera d’arte e il suo fratello più maturo, la (o il) Graphic Novel (cui, però, i veri appassionati di fumetti non riconoscono un’autonomia rispetto al fumetto in genere) è pressoché unanimemente equiparato alla letteratura.
Così come il fumetto, anche la musica pop ha, da qualche anno, trovato la propria giusta collocazione tra la produzione artistica e può, così, accadere che il connubio tra queste due forme d’arte, ancora adolescenti, sprigioni un’energia e una poesia improvvise e inaspettate.
“Days of the Bagnold Summer”, è un(a) graphic novel del 2012, del disegnatore di Bristol Joff Winterhart, divisa in rapidi sketch, che racconta, con grande sensibilità e sottile umorismo, sei settimane nell’estate di Sue Bagnold, 52 anni, bibliotecaria, e di suo figlio Daniel, 15 anni, studente solitario e goffo, appassionato di heavy metal.
Winterhart ha la capacità, grazie a pochi segni grafici, episodi in apparenza banali e dialoghi ridotti all’osso, di cogliere e trasmettere alla perfezione la noia, la tensione, il pathos e l’affetto di una relazione madre-figlio, riuscendo ad essere sentimentale e significativo con magnifico understatement.
Ho letto (con enorme piacere) questo esile volumetto, non ancora tradotto e distribuito in Italia, questa estate, avendo scoperto che i Belle And Sebastian (una delle mie band del cuore) avrebbero curato la colonna sonora del film che l’attore e regista inglese Simon Bird ne ha tratto.
Leggendo la delicata, malinconica e amaramente umoristica storia di Winterhart non è difficile, per un appassionato degli scozzesi, comprendere cosa abbia spinto Stuart Murdoch e soci a lanciarsi in questa avventura: la sensibilità artistica della band, il loro afflato nostalgico, la loro ironica introspezione senza autocommiserazione, l’universo dei loro personaggi solitari, fuori dagli schemi, perdenti ma mai sconfitti, si sposa alla perfezione con la personalità dei protagonisti del racconto, e non è difficile immaginare Sue e Daniel (e i loro pochi, ma perfettamente caratterizzati comprimari) come soggetti di una canzone dei Belle And Sebastian.
E, seppure azzardata, la scelta del regista di chiamare una band che rappresenta il prototipo del pop più soave, la personificazione della sensibilità e dell’understatement, per accompagnare e sottolineare i sentimenti e le ubbie di un adolescente fissato con l’heavy metal e con le sue rappresentazioni più crude e cruente (la band che Daniel immagina di fondare dovrebbe chiamarsi “Skullslayer”…), risulta assolutamente perfetta: Daniel, nonostante i suoi gusti musicali e la rabbia repressa, tipica di qualsiasi adolescente, è un ragazzino pieno di timori, timido, silenzioso e, tutto sommato, gentile e premuroso. Insomma, ha in sé le caratteristiche specifiche della maggior parte dei personaggi così sublimemente descritti nelle canzoni dei B&S.
Su richiesta del regista, nella colonna sonora ci sono due brani del repertorio della band: il capolavoro “Get Me Away From Here I’m Dying” (che, già dal titolo, conferma in pieno le sensazioni di cui si parlava), tratta dal seminale “If You’re Feeling Sinister” del 1996, e “I Know Where The Summer Goes”, originariamente apparso nel 1998 sull’EP “This Is Just A Modern Rock Song”.
Entrambe le canzoni sono state re-incise per l’occasione e, se era probabilmente impossibile migliorare una canzone perfetta come la prima, la seconda acquista, nella versione 2019, profondità e spessore e descrive in maniera perfetta l’atmosfera che si respira nel(la) graphic novel: “I know where the summer goes/When you’re having no fun/When you’re under the thumb/I know where the summer dwells/When your underarm smells/And your kitchen looks like hell“.
Anche grazie a queste riproposizioni, “Days of the Bagnold Summer” rappresenta per la band di Glasgow una digressione dalle sonorità più di recente predilette, intrise di funk, soul e qualche deriva disco, in favore di un (agognato, almeno dai fan della prima ora) ritorno a trame acustiche e pastorali, a richiami agli anni sessanta (come non se ne ascoltavano dai tempi dell’abbandono di Isobel Campbell), al magnifico e toccante uso della tromba, del corno francese e degli archi.
Ascoltate la deliziosa “Safety Valve”, (“I wrote a song to you/I poured my soul in it/now I’m feeling flat/I want my soul back/Lately I just need a pal/thanks for being my safety valve”), brano inedito ripescato da Bird nell’archivio storico della band, “Did The Day Go Just Like You Wanted” (“Did the day go just like you wanted?/ Or did you hold on with your fingernails?”), “Another Day, Another Night”, scritta e cantata da Sarah Martin per il personaggio di Sue (“I forget about the trouble you might have been/I’m here, still shedding the same skin”), o, ancora, “This Letter”, la canzone più semplice e commovente della raccolta, che con il suo andamento da bossa nova sembra scritta da Ben Watt o Tracey Thorn, ed esulterete con me perché le meravigliose e calde sonorità dei primi Belle And Sebastian sono tornate, con il loro carico di malinconia e di quieta allegria.
Solo il singolo “Sister Buddha” (probabilmente uno dei brani pop dei Belle And Sebastian meglio riusciti da molti anni a questa parte) pare non sia stato originariamente scritto per l’occasione, ma verrà collocato verso la fine del film, a chiudere la storia su una nota più lieta.
Il rapporto tra un genitore e il suo figlio adolescente ha profondamente toccato i musicisti (e me, ça va sans dire), molti dei quali con prole, che sono riusciti a rivedersi sia nel protagonista capellone, strambo e introverso, sia nella dolorosa e imbarazzante (e imbarazzata) figura della madre e “Days Of The Bagnold Summer” è il risultato di questo coinvolgimento: una colonna sonora che funziona anche senza le immagini (ma provate a leggere la graphic novel con il sottofondo delle musiche scritte per il film e capirete come siano perfettamente adatte all’atmosfera creata da Winterhart) e che, con la sua assoluta raffinatezza e grazia, riesce a dare risalto a una storia tenera e triste, scritta con incredibile sensibilità e onestà.
Come ricorda spesso Sarah Martin, “Noi scriviamo canzoni devastanti che sembrano abbastanza felici “. un po’ come succede nei (nelle?) migliori graphic novel.
(il testo è rielaborato da un articolo, ancora più lungo, che ho scritto per il numero di settembre di Rockerilla)
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