Francesco Amoroso per TRISTE©
Mi piacerebbe davvero lasciarmi tutto alle spalle e scrivere, finalmente, una recensione nella quale non dovessi più parlare del lockdown.
Ma il momento giusto non sembra essere ancora arrivato.
Il ritorno a una parvenza di normalità è lento e faticoso e il (retro)pensiero che forse stavamo meglio quando stavamo peggio (almeno noi privilegiati che ci godevamo le nostre case e le nostre famiglie, senza grandi paure e, per un po’, senza il fardello di tutte le scadenze che di solito ci schiaccia anche nei momenti di ozio, meritato o rubato che sia) si insinua subdolo, rendendo il “dopo” uguale al “prima”, solo con qualche angoscia e qualche seccatura in più.
Per mesi non ho fatto altro che cercare nuove proposte musicali, ogni giorno, anche più volte al giorno, come se ascoltare novità musicali fosse (insieme a una buona lettura) l’unico modo per fuggire a una monotonia che si faceva sempre meno sostenibile.
Eppure gli ascolti scorrevano, senza sussulti, monotoni, quasi attutiti da una sorta di apatia, di anestetizzazione delle emozioni che ha spesso caratterizzato, anche contro la nostra stessa volontà, le giornate sospese della clausura forzata.
Mi sarei aspettato che, d questa compulsione all’ascolto della novità, ne sarebbe emersa una proposta musicale bizzarra, qualcosa di fuori dagli schemi, o, almeno, fuori dai miei schemi e, invece, tra le migliaia di canzoni che ho ascoltato, quasi di soppiatto, timidamente, è stato un cantautore molto classico a emergere.
Di Christian Lee Hutson non sapevo nulla ed è molto poco anche quello che si riesce a scoprire spulciando in rete, eppure questo suo “Beginners” è un lavoro che esce per un’etichetta importante come la ANTI e tra i suoi collaboratori si trovano nomi illustri quali Conor Oberst e Nathaniel Walcott (Bright Eyes), Lucy Dacus e Phoebe Bridgers.
Fino ad oggi erano, appunto, conosciute solo alcune canzoni che Hutson ha scritto con la Bridgers per i progetti Boygenius e Better Oblivion Community Center e, pare, ci siano anche un paio di precedenti album solisti di cui però non ci sono troppe tracce, eppure questo ragazzo, che nei video che accompagnano l’uscita di “Beginners” appare un biondino dal volto banale, un po’ timido, quasi goffo, sembra, nel suo nuovo lavoro, un veterano della scena folk.
Hutson non ha alcuna intenzione, con il suo “Beginners”, di stravolgere l’ascoltatore o di offrirgli novità eclatanti: la sua voce è rassicurante e familiare, carezzevole e delicata, quasi un novello Paul Simon, o un Elliott Smith meno angosciato, e il suo fingerpicking, elegante, raffinato e tecnicamente impeccabile, non ha particolari impennate o guizzi spiazzanti.
Ciò che lo distingue da tanti altri interpreti del genere, più o meno talentuosi, sono la sua straordinaria capacità melodica (“Get The Old Band Back Together” e “Songle For The Summer”, due sing-a-long gioiose e efficacissime), la cristallina semplicità delle sue composizioni (“Talk” o “Keep You Down”, che ricorda nelle note introduttive, “Fast Car” di Traci Chapman) e la straordinaria capacità di scrivere testi che, senza auto commiserazione e con una buona dose di ironia, analizzano i mille modi che ha l’uomo di fallire, di commettere errori e di pagarne le conseguenze.
Dall’iniziale “Atheist”, passando per “Seven Lakes” fino alla meravigliosa, esilarante e auto ironica descrizione degli universitari di “Northsiders”, (“We were so pretentious then/Didn’t trust the government/Said that we were communists/And thought that we invented it/Morrissey apologists/Amateur psychologists/Serial monogamists”) Hutson racconta i dolori che gli umani, soprattutto in giovane età, si infliggono, più o meno consapevolmente.
Lo fa prendendosi tutta la responsabilità delle proprie azioni (e di quelle della sua generazione): in “Unforgivable”o in “Keep You Down”, ribaltando ogni cliché di genere, è il carnefice e non la vittima di una relazione finita male.
A rendere ancora più piacevole “Beginners” ci pensa la produzione di Phoebe Bridgers, che, a soli 25 anni, si cimenta per la prima volta in questo ruolo. La sua scelta di arricchire lo stile scarno e acustico di Hutson con pochi e misuratissimi interventi strumentali (le tastiere, gli archi, meravigliosamente arrangiati da Nathaniel Walcott, una batteria mai invadente, una tromba, un’armonica) è assolutamente vincente e esalta le delicate composizioni di Christian senza mai rovinarne la calda intimità.
A volte, nonostante i tempi burrascosi e pieni di incognite che stiamo vivendo, o, più probabilmente, proprio a causa di essi, ci accorgiamo che tutto ciò di cui abbiamo bisogno sono solo un abbraccio, una carezza e un po’ di sonorità rassicuranti nelle quali ritrovarsi e riconoscersi e “Beginners” ne dispensa a iosa.
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