Kristine Leschper – The Opening, Or Closing Of A Door

Francesco Amoroso per TRISTE©

Qualche volta ho l’impressione che la complessità sia il nostro peggior nemico.
Non sarebbe bello se tutto fosse, invece, semplice, binario, bianco o nero? Se l’amore fosse quello delle canzoni pop e se tutto avesse dei contorni nitidi e chiari?
Probabilmente, invece, riflettendoci con un po’ più di attenzione (e profondità – rieccola la maledetta complessità!), che la vita sia piena di sfumature e di contenuti, di sentimenti contrastanti e di scelte difficili, è una necessità e un’esistenza priva di stratificazioni, significati reconditi e, ammettiamolo, qualche complicazione, risulterebbe piatta e scialba.

Ciò non toglie che farei comunque volentieri a meno di un po’ di crucci e problemi, in favore di una riconquistata tranquillità che, tra l’altro, oltre che evitarmi tanti affanni, mi permetterebbe di dedicarmi e approfondire ciò che più mi attira e mi appaga.

Sono discorsi vaghi, generici e anche piuttosto superficiali, me ne rendo conto, ma mi vengono spontanei quando mi accorgo che non riesco mai a trovare il tempo che mi sarebbe necessario per dedicarmi ad approfondire e comprendere fino in fondo opere come The Opening, Or Closing Of A Door, il nuovo album di Kristine Leischper (e il primo a proprio nome dopo otto anni- e due album -trascorsi ascrivere e suonare con il moniker Mothers).
Se trovo spesso piacere e sollievo nell’ascoltare pop (indie) delicato e sbarazzino, è pur vero, come dicevo poco più su, che la musica, come la vita, richiede anche un po’ di complessità e un album come questo di Leischper, articolato sia dal punto formale che da quello concettuale, non solo ne fornisce in abbondanza, ma mette a dura prova le mie capacità di analisi.
(Il che se da una parte è un bene, perché l’allenamento mentale e il tenere sempre viva l’attenzione aiuta a sentirsi vivi e svegli, d’altra parte può essere anche frustrante, visto il limitato tempo che si riesce a dedicare a queste necessarie attività).

Mentre i due album incisi da Kristine Leschper con il nome Mothers erano caratterizzati da composizioni dalla struttura non tradizionale che, dibattendosi tra oscurità e vulnerabilità (e abbracciando nella maggior parte dei casi sia l’una che l’altra), approdavano a una scarna linearità, in equilibrio tra post punk e folk, per il nuovo album l’artista di Athens ha, invece, cambiato del tutto le carte in tavola, optando per sonorità quasi barocche, più raffinate e articolate e per arrangiamenti lussureggianti, grazie anche all’uso accorto e sapiente di sintetizzatori, archi, legni e percussioni.
Anche la sua voce risulta più melodica e sicura di sé, più in primo piano, quasi sfrontata a volte, ma sempre perfettamente controllata.
Pare siano i risultati di un lungo, laborioso e meticoloso lavoro in uno studio casalingo, che ha permesso ai tredici brani che compongono l’album di crescere, mutare e sbocciare durante le sessioni di registrazione.

Racconta Leischper che “i lavori precedenti non prevedevano la registrazione come parte del processo di scrittura, le registrazioni venivano semplicemente fatte come documento di qualcosa che era già stato scritto e provato” ma che “da allora ho scoperto un profondo affetto per la registrazione casalinga e l’esplorazione del suono, scoprendo che prospero in quei rabbit-holes di consistenza, timbro, ritmo, che possono aggiungere tanta complessità all’emotività di una composizione.
Ecco che riemerge la complessità e non è un caso, perché la caratteristica principale di The Opening, Or Closing Of A Door è proprio quella di rifuggire la semplicità, la monodimensionalità: brani di chamber folk accuratamente orchestrati si alternano con composizioni caratterizzate da ritmiche e percussioni insistenti e pervasive, linee vocali eleganti si alternano a passaggi di fiati e ricchi arrangiamenti di archi accompagnano spesso le tredici tracce dell’album.
Ma non ci si deve lasciare scoraggiare perché nonostante la sua apparente difficoltà, l’opera non è mai davvero ostica o respingente, anzi riesce il più delle volte a risultare profondamente immediata e coinvolgente.

L’apertura, This Animation, è emblematica in tal senso: inizia con una chitarra acustica, accompagnata dagli archi, poi arriva la voce acuta e cristallina e, in breve, entrano un flauto e le percussioni. Un arrangiamento articolato ma niente affatto pesante. E la successiva Picture Window, altrettanto elegantemente arrangiata, introduce handclapping, percussioni varie e un basso persistente. Figure and I , ispirata dall’artista di samba Nelson Cavaquinho, con la sua batteria elettronica e ancora l’handclapping – caratteristica ritmica (e concettuale) che ricorre in tutto l’album – spinge ancora più avanti i confini ritmici dell’album, Blue si muove sinuosa tra le linee di basso e i magnifici campioni vocali stratificati che compongono Writhe and Wrestle richiamano l’avanguardia di Laurie Anderson.

Ogni composizione, ogni singolo passaggio dovrebbe essere analizzato minuziosamente perché ogni attimo è importante e carico di significato. La rielaborazione del brano di Mothers, Carina, per esempio, riprende un brano essenziale, quasi esangue, e ne espande le sonorità in maniera inventiva e decisamente eccitante, mentre Ribbon, non a caso scelta per anticipare l’album, riesce a fondere perfettamente la chamber music con elementi percussivi e Compass, il brano più immediato dell’album (nonostante sia decisamente elaborato dal punto di vista musicale), con quel suo ripetitivo ““softening my edges”, sembra essere il fulcro concettuale dell’intero lavoro.
Potrebbe sembrare paradossale, ma proprio grazie a queste composizioni così impegnative e formalmente elaborate Leschper si è liberata ed è emersa dal proprio bozzolo emotivo e artistico per lasciarsi andare e dare libero sfogo alla propria creatività.
Si ha l’impressione, paragonando le composizione di Mothers con quelle attuali, che la luce sia arrivata a illuminare l’oscurità del talento di Leischper e il risultato è un album nel quale le sonorità che prima erano nascoste dalle ombre, rese unidimensionali dalla mancanza di prospettiva, riescono finalmente a emergere e brillare, a mostrare la propria profondità e le proprie sfumature, strutturali ed emotive.

Del resto è la stessa autrice che ci racconta come queste composizioni arrivino da “una comprensione di come rinunciare al controllo in grande stile, e da questo, un nuovo senso di connessione, transizione e impermanenza” e se un’affermazione del genere può risultare di non immediata comprensione, basterà ascoltare i brani che compongono l’album per comprenderla fino in fondo.
The Opening, Or Closing Of A Door è un’opera che, in maniera aerea e sopraffina, affidandosi ai sensi (e alle mille sfumature dei suoi suoni), racconta il mondo materiale.
Leischper, con queste canzoni, esplora temi complessi ma concreti, come il desiderio, la necessità di una connessione con il prossimo, l’urgenza di sentirsi compresi e incoraggiati. Argomenti, per ribadire il concetto per l’ennesima volta, certamente complessi, ma, allo stesso tempo, semplici e quotidiani, quasi banali eppure di vitale importanza.

Potrei continuare a parlarne all’infinito, analizzandone minuziosamente particolari e sfumature, ma parte del fascino della complessità risiede nella scoperta e rivelando troppo o scavando troppo a fondo si rischierebbe di graffiare quella patina di mistero che ricopre, come una sottile doratura, The Opening, Or Closing Of A Door e che contribuisce a renderlo un lavoro ammaliante e avvincente.


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