Broadcast – Maida Vale Sessions

Francesco Amoroso per TRISTE©

Quest’anno Trish Keenan avrebbe compiuto 54 anni (era nata come Patricia Anne Keenan il 28 September 1968 a Winson Green, Birmingham). Sono passati poco più di undici anni da quando le assurde complicazioni di una polmonite se la sono portata via.

Quando un artista muore giovane è abbastanza frequente che la sua figura e la sua opera vengano considerate sotto una diversa luce rispetto ai loro colleghi che, invece, invecchiano, sfioriscono e, spesso, perdono l’ispirazione, sotto gli occhi attenti e spietati del pubblico.
Mi capita spesso di chiedermi se Ian Curtis (o Nick Drake, o anche Jim Morrison) sarebbero state le stesse figure di culto se ce li avessimo ancora davanti, invecchiati, imbolsiti, magari calvi o, peggio ancora, con i capelli tinti e se i loro album (solisti, s’intende, che a stare nella stessa band per troppi anni è davvero quasi impossibile) fossero stati meno ispirati e originali di quelli che ci hanno lasciato. E, allo stesso modo, mi capita di chiedermi quale status avrebbero raggiunto, se se ne fossero andati giovani, artisti come Morrissey che, invece, sono, almeno sotto certi aspetti, invecchiati male.

Dubito che la risposta potrebbe essere univoca, ma non ho dubbi sul fatto che quando un artista ci lascia, è difficile approcciarsi alla sua opera in maniera del tutto obbiettiva.
I Broadcast di Trish Keenan, quando Trish era viva e attiva (è morta subito dopo una tournee in Australia, nel pieno della maturità artistica della sua band), erano già considerati una band di culto e i loro album, dopo essersi affrancati dall’ingombrante paragone con gli Stereolab, avevano già avuto i riconoscimenti meritati.
Trish Keenan, dal canto suo, aveva già un’immagine che flirtava con l’iconicità, con la sua tunica bianca attraversata da proiezioni e effetti visivi, con la sua immancabile frangetta nera, con il suo cantato laconico e la sua ieraticità sul palco.
Tuttavia nel decennio che ha seguito quel fatale 11 gennaio, è indubbio come il potenziale iconico della cantante di Birmingham, già di per sé piuttosto evidente, si sia decuplicato e il suo nome, seppure ancora in ambito underground, sia oramai un punto di riferimento culturale e artistico.

Chi ha creduto a Keenan e ai Broadcast sin dall’inizio (e non poteva essere altrimenti) è stato certamente John Peel che prima ancora che la band esordisse con un album vero e proprio, gli aveva già fatto registrare ben tre delle sue ormai mitiche Peel Sessions (e una quarta prima dell’uscita del secondo album) presso gli altrettanto leggendari studio BBC di Maida Vale – studi che non solo hanno ospitato il programma radiofonico di John Peel, ma anche il BBC Radiophonic Workshop, il programma che ha introdotto il pubblico britannico alla musica elettronica.
Queste sessioni, che comprendendo materiale che va dalla compilation Work and Non Work del 1997 fino all’album Haha Sound del 2003, sono state raccolte (dalla Warp, naturalmente) in un unico album, che testimonia la rapida evoluzione e il genio sonoro della band inglese,
fungendo da ampia panoramica sull’evoluzione della band che, attraverso cambi di formazione e infiniti esperimenti sonori, muta, cresce, esplora sonorità e mondi differenti.

Sono, naturalmente, testimoniati i primi anni dei Broadcast, quelli in cui la band si è pian piano affrancata dalle sonorità più jazzy e folk, già abbondantemente condite di psichedelia per volgere il proprio sguardo verso l’elettronica.
Nella prima session (registrata il 6 ottobre 1996), così, si trovano riproposizioni piuttosto fedeli di World Backwards e The Note [Message From Home], dalla raccolta Work And Non Work, ma anche Forget Every Time, un magnifico inedito nel quale possiamo ascoltare il theremin e le chitarre da colonna sonora di una spy-story che avvolgono il magnifico cantato di Keenan, mentre la allora senza titolo City In Progress, uscita ben quattro anni dopo su The Noise Made By People, suona molto diversa dalla sua versione definitiva, più carica di misticismo e strati di elettronica.
Nella successiva sessione, registrata a pochi mesi di distanza dalla precedente (il 1° marzo 1997) arriva una versione decisamente spiazzante del loro classico più famoso, Come On Let’s Go, che, tuttavia, oltre a essere di interesse per gli appassionati della band, funziona benissimo – quasi un brano puramente pop – seppure senza la profondità sonora della versione definitiva, presente anch’essa su The Noise Made By People.

Da questo punto di vista le differenze tra questa sessione e la successiva, del febbraio 2000, sono evidenti: mentre Look Outside e The Book Lovers sono “semplicemente” delle magnifiche canzoni, sulla scia della riscoperta delle sonorità degli anni sessanta, quando si passa ai brani contenuti in The Noise Made By People, il suono dei Broadcast si inspessisce, si fa più profondo e rallentato, più ultraterreno e quasi mistico. Le versioni di Long Was The Year e Echo’s Answer presenti in questa raccolta sono dilatate, arricchite da stratificazioni elettroniche e da sonorità psichedeliche, tanto da suonare ipnotiche o, meglio, trascendenti.
La sublime Where Youth And Laughter Go (dello stesso periodo, ma contenuta solo nell’Ep Extended Play) chiude in maniera sopraffina questa registrazione e rappresenta il perfetto connubio tra le canzoni che hanno caratterizzato la prima parte della produzione artistica dei Broadcast e gli sperimentalismi più evidenti a partire dall’uscita dell’album d’esordio.

E, a conferma di come la band di Keenan e Cargill fosse in continuo movimento ed evoluzione, arriva l’ultima Peel Session che contiene tre brani tratti dall’album Haha Sound del 2003 e documenta l’introduzione di elementi più noisy e di una spinta psichedelica ancora più evidente. Una versione decisamente più accelerata di Pendulum, una riproposizione di Colour Me In che suona meno sperimentale, ma a tratti più inquietante di quella dell’album e che mette in luce la magnifica e delicata voce di Trish Keenan (algida, remota e scintillante) accompagnano il secondo inedito della raccolta, la cover di Sixty Forty di Nico che, nelle mani dei Broadcast, sembra assumere significati trascendenti e in qualche modo profetici, soprattutto quando la voce laconica e disadorna di Keenan ripete, sulle chitarre graffianti, “Will there be another time?”.

Non poteva esserci finale più significativo (e più straziante) per una raccolta come questa, nella quale è possibile scoprire o – si auspica – riscoprire il suono dei Broadcast, ammirarne l’evoluzione e la capacità di utilizzare, ricontestualizzare e dare nuova linfa e nuovo significato a sonorità del passato e di plasmare da esse un’espressione artistica che, al di là del retrofuturismo puro, sappia essere trascendente, ultraterrena.

Non ho idea se Trish Keenan, viva e ultracinquantenne, avrebbe rappresentato per chi l’ha amata (e per chi l’ha scoperta dopo) quello che rappresenta adesso, ma sono certo che la sua prematura scomparsa mi (ci) ha privato di un’artista straordinaria che avrebbe potuto continuare a darmi i brividi ogni volta che avessi riconosciuto e ascoltato la sua inconfondibile voce.

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