Mimi Parker: Amazing Grace

Francesco Amoroso per TRISTE©

It’s so easy to laugh/ it’ so easy to “It’s so easy to laugh
It’s so easy to hate
It takes guts to be gentle and kind

Oggi non c’è spazio per parlare delle novità discografiche, per esaltare le ultime uscite o per raccontare di qualche canzone o album che mi appassiona o mi ha appassionato.
Oggi, nel mio cuore, c’è spazio solo per Mimi (e per Alan e per i loro figli).
Per Mimi Parker che era nata cinquantacinque anni fa in Minnesota e che, da allora, con il suo modo di essere schivo e gentile, è riuscita ad arrivare dritta al centro delle nostre anime, che ora si scoprono straziate, non senza un po’ di pudore e imbarazzo.
Pudore e imbarazzo perché nessuno di noi conosceva davvero Mimi Parker e sentirci in diritto di essere tristi, distrutti, devastati, sembra un’arroganza, un’invasione della privacy e un’offesa al dolore altrui.
Eppure non poss(iam)o che esserlo.
Distrutti. Devastati. Con un buco al centro del petto, con un senso di vuoto che non sarà facile colmare tanto in fretta.

I “coccodrilli” li ho sempre detestati e mi sono sempre rifiutato (non che qualcuno abbia mai insistito in tal senso) di scrivere qualcosa di più o meno agiografico per la scomparsa di un artista che amavo. Non credo di esserne capace.
Ma con Mimi Parker è diverso. Non credo che avrò la lucidità di spiegare in maniera chiara ciò che provo, ma so che devo.

Quando se ne va una rockstar molto nota, i social network si riempiono di post che ne piangono la dipartita, spesso scritti anche da chi l’artista in questione l’aveva ascoltato solo per caso, magari in televisione, o al supermercato.
Se hai un aneddoto da raccontare, non importa quanto sia banale, un collegamento con l’artista, anche labilissimo, allora non puoi che lanciarti subito in un racconto strappalacrime che ha lo scopo, di solito, di mettere in luce solo la tua sensibilità, il tuo avere più titoli degli altri per essere addolorato.
“La rockstar era più mia che vostra, ricordatelo. Io, una volta, l’ho incontrata al bar. Io l’ho vista dal vivo più volte di voi. Io, addirittura, ho dato un bacio al mi fidanzatino mentre ascoltavo una sua canzone”.

Per carità, sono il primo a essere convinto che la musica sia così importante per tanti di noi perché ha la capacità di intrecciarsi alle nostre vite in maniera indistricabile e che senza una sua fruizione soggettiva ed emotiva, la musica sarebbe solo matematica, solo esercizio intellettuale.
Ma è anche vero che leggere del dolore per David Bowie o Leonard Cohen che prova chi, fino al giorno prima postava solo gattini o, al massimo, i video di Tiziano Ferro, lascia un po’ perplessi circa la sincerità di quel dolore, circa il reale impatto di una perdita che, per molti invece, è davvero devastante.

Ma è quello che succede sempre e ci siamo abituati a fare i conti con i “la terra ti sia lieve” con i “insegna agli angeli a suonare la chitarra“, con i “sono sempre i migliori ad andarsene“.
Forse siamo anche un po’ confortati dal fatto che tutti sembrino conoscere il caro scomparso e che, di conseguenza, il nostro dolore, quello che proviamo noi che lo conoscevamo meglio, sia quasi elevato, valorizzato da tutte le lacrime, più o meno sincere, che vengono versate in rete.

Con Mimi Parker, però, è stato tutto diverso.
Da quando ieri pomeriggio Alan ha dato la notizia, con un breve comunicato, sobrio, asciutto e al tempo stesso pieno di straordinario sentimento, la mia piccola bolla si è riempita di strazio, tristezza, dolore. Sentimenti sinceri, sentiti. Ogni click su un cuore, su un pollice, su una faccina piangente, su un abbraccio era solo un piccolo tentativo di condividere quei sentimenti. Gesti insignificanti, forse, ma necessari di fronte all’impotenza che si prova in simili frangenti.
Tutti ci siamo affrettati, come da tradizione, a condividere il nostro personale ricordo: l’ultimo concerto dei Low a cui abbiamo assistito – naturalmente commossi, ma non potrebbe essere altrimenti- la foto fatta al Primavera, la volta che abbiamo ricevuto il suo autografo nel backstage o che siamo riusciti a scambiare una parola con lei.

Personalmente ho potuto solo ricordare (ma è un’immagine che portavo con me da sempre e che mi torna in mente spesso quando ascolto i dischi dei Low, soprattutto da quando, qualche tempo fa la malattia di Mimi Parker è divenuta di dominio pubblico) di quella volta che, al telefono con Alan per un’intervista, ho sentito la voce di Mimi che lo chiamava.
Alan mi aveva raccontato che Mimi era lì, nella loro cucina (a Duluth?) a preparare il sugo: lo chiamava perché di lì a poco avrebbe dovuto tagliargli i capelli.
E’ stato il mio unico contatto “diretto” con Mimi Parker, che ho visto tante volte dal vivo ma con la quale non sono mai riuscito a parlare, perché della stampa italiana, evidentemente, si occupava Alan.
Eppure mi ha destato un’impressione vivida, quasi sensoriale.
Sono anni (l’intervista dovrebbe risalire all’epoca di C’Mon, ma potrebbe anche essere quella per Double Negative, così come le due cose – il sugo e il taglio di capelli- potrebbero essere successe in due momenti diversi, ma il senso cambia poco) che immagino Alan seduto al centro della grande cucina (li immagino vivere in una di quelle vecchie e grandi case di legno, circondati dagli abbacinanti riverberi del sole sulla neve) con uno strofinaccio intorno al collo, mentre Mimi gli taglia amorevolmente i capelli, così come posso sentire quasi il profumo del sugo con il quale Mimi e Alan condiranno gli spaghetti (che non posso che immaginare scotti) che condivideranno con i figli, sempre in quella grande cucina riscaldata dal camino.

Come il mio banale aneddoto, se andate un po’ in giro in rete, ne troverete decine di altri, decisamente più interessanti e meglio raccontati, ma, invariabilmente, tutti assolutamente sinceri, sentiti.
A differenza di quanto accaduto per tante “rockstar”, tutti coloro -artisti, giornalisti, amici, semplici appassionati- che hanno sentito la necessità di scrivere qualcosa su Mimi Parker, sono stati spinti non dal desiderio egoistico di dire “IO la conoscevo, IO l’amavo più di voi“, ma dalla genuina necessità di condividere il loro affetto per un’artista che, sempre con i suoi modi gentili e schivi, era riuscita a diffondere amore e calore ovunque andasse.
Mimi Parker era una persona semplice e genuina, ci dice ogni racconto, ogni ricordo.
Mimi Parker -e questo ce lo dice ogni sua canzone- era una musicista straordinaria, naturale, che riusciva a trasmettere con la sua voce unica (sono rimasto sconvolto quando ho scoperto, tempo fa, che c’era chi non l’amava…) tutto l’amore che provava per il mondo, la vita, le persone che la circondavano.
Mimi Parker, ci dice tutto, non era un un essere etereo, una sorta di creatura angelica, ma una persona vera, esattamente come tutti noi: faceva musica sublime, ma era una persona come tutti noi.

Mimi Parker anche nella sua morte -così come faceva in vita con le sue canzoni, i suoi dischi e i suoi concerti, che erano una specie di liturgia devozionale di massa- è riuscita a farci sentire parte di una comunità, vicini nel dolore, ma anche nella gioia della condivisione di un amore puro e genuino.

Alan ha scritto: “Friends, it’s hard to put the universe into language and into a short message, but…
She passed away last night, surrounded by family and love, including yours. Keep her name close and sacred. Share this moment with someone who needs you. Love is indeed the most important thing.

Ecco. Vorrei tanto che Alan avesse l’opportunità di sapere di tutto l’amore che lui e Mimi sono stati capaci di far sprigionare spontaneamente in luoghi che riescono, di solito, a diffondere solo odio, sopraffazione e egocentrismo.
Vorrei potergli dire che ora che la roccia alla quale si è sempre aggrappato per superare le tante avversità della vita non c’è più, saremo noi tutti la sua roccia, per ripagarlo, anche solo in minima parte, di tutto quello che lui e Mimi ci hanno dato in quasi trent’anni.
E, sinceramente, poco importa che queste parole, così come tutte quelle che vengono spese in analoghe situazioni, possano sembrare retoriche o banali, perché so che sono genuine -e condivise- e perché le sento profondamente, in fondo al mio cuore e nell’anima.

In the end the love you take it’s equal to the love you make“.

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