Ray – First Light

Francesco Giordani per TRISTE©

Gli anni 2000 sono cominciati per me il 14 maggio dello stesso anno, con lo scudetto della Lazio: ero a casa mia, quindici anni ancora da compiere, la tv sintonizzata come ogni domenica pomeriggio su Quelli che il Calcio. Conduceva Fabio Fazio. Il decennio si sarebbe poi concluso, almeno per me, il 13 maggio del 2009, con la vittoria della Coppa Italia ai rigori, per 6 a 5, da parte della Lazio contro una tenacissima Sampdoria: ero allo stadio, di anni nel frattempo ne avevo quasi ventiquattro e a Quelli che il Calcio la conduzione era da tempo passata a Simona Ventura.

Di quanto accadde negli anni compresi tra quegli eventi sportivi, che mi piace immaginare quasi speculari fra loro, ricordo diversi dettagli. Ricordo ad esempio che l’11 settembre 2001 stavo per qualche motivo guardando una puntata di Sentieri, quando la trasmissione venne bruscamente interrotta dall’edizione straordinaria del Tg4. Ricordo i tanti aerei sognati negli anni successivi a quella surreale visione del secondo schianto in diretta, che in effettivi somigliava più ad un film o ad un’allucinazione che alla realtà. Ricordo il mio primo iPod (e poi anche il secondo e il terzo). Ricordo MySpace. Ricordo la mia prima casella e-mail (dedalus85@inwind.it) e il mio primo account Facebook. Ricordo il ritorno delle Converse. Ricordo la morte di Michael Jackson, i funerali del Papa e la Juventus in serie B. Ricordo che il 10 luglio 2006, il giorno dopo la vittoria dell’Italia ai Mondiali di Calcio, comprai senza poi leggerli La Repubblica, il Corriere dello Sport e la Gazzetta della Sport, che ancora conservo.

Ricordo lo Tsunami e il resto in euro. Ricordo Una Storia Italiana, la biografia che Berlusconi spedì un giorno a quasi tutti i cittadini della Repubblica. Ricordo Carlo Giuliani, Osama Bin Laden, Josè Luis Zapatero e Barack Obama. Ricordo L’opera struggente di un formidabile genio di Dave Eggers, che mi piacque molto meno di Indecision di Benjamin Kunkel (qualcuno lo ricorda?). Ricordo il primo disco degli Arctic Monkeys e il secondo degli Arcade Fire. Ricordo quanto pagai per scaricare In Rainbows: 0 $. Ricordo Brad Pitt al concerto dei Radiohead a Milano e una recensione di Back to Black su un numero di Mojo comprato a Londra. Ricordo il primo concerto visto al Circolo degli Artisti di Roma, i Tv On The Radio, dei quali ricordo soprattutto il bassista, che suonava seduto e di spalle. Ricordo i due bellissimi libri di Lester Bangs finalmente tradotti in italiano. Ricordo Juno, Dogville e Non è un Paese per Vecchi al cinema e Se Mi Lasci Ti Cancello, Kill Bill e Lost in Translation in Dvd. Ricordo le copertine bianche delle Edizioni ISBN, Post-Punk di Simon Reynolds e Metapop di Paul Morley. Ricordo la mattina in cui mi dissi che, se non sapevo suonare, potevo comunque scrivere: non disponendo di mezzi o contatti utili per formare anch’io una band come tutti, avrei almeno provato a raccontare la nuova musica che nasceva ogni giorno, incessantemente, affinché non venisse dimenticata. La sera stessa scrissi a tutte le riviste e ai siti specializzati che conoscevo.

Non ricordo invece i Ray e sono quasi certo di non averli mai sentiti nominare fino a quando, meno di un mese fa, un’inserzione che promoveva l’acquisto del loro (mini) album d’esordio First Light (come ho poi scoperto) non ha attirato la mia ondivaga attenzione. Non tutta la pubblicità vien per nuocere. Catturato in modo istintivo dal fascino quasi arcano della copertina, dopo un’immediata quanto infruttuosa ricerca su Spotify e Bandcamp sono infine riuscito, non senza difficoltà, ad ascoltare una delle canzoni del disco presenti su YouTube ovvero Younger & Younger : 71 visualizzazioni totali (di cui a tutt’oggi circa 18 mie) e una laconica didascalia, From the First Light album – Deserved to have had a far wider audience than it did, che avrei potuto scrivere io stesso alla fine del primo ascolto.

Il punto è esattamente questo. A parte una smilza discografia su Discogs e qualche sparuta notizia ricavabile da un paio di recensioni su Amazon (la provenienza londinese del quartetto, che annovera in organico due fratelli, tali Bradford), dei Ray resta oggi praticamente solo l’opera. Anche chi comprò all’epoca il loro primo disco (a cui hanno fatto seguito Deep Blue Happy nel 2005, Daylight in the Darkroom nel 2006 e Death in Fiction nel 2008), a mia domanda, non riesce a ricordare chi fossero esattamente i Ray, in quali circostanze avvenne la loro scoperta, se in quegli anni avessero fatto tour o almeno aperto il concerto di qualche compagno di etichetta più famoso.

Nulla che possa comunque scalfire l’incanto agrodolce di Firt Light, disco che alle mie orecchie suona oggi semplicemente magnifico, dato alle stampe in anni magici in cui in Inghilterra, a breve distanza l’una dall’altra, piovevano opere uniche ma in qualche modo imparentate fra loro, come Asleep in the Back degli Elbow, Lost Souls dei Doves, Natutral History degli I Am Kloot, Planet Helpless dei Puressence, senza tralasciare Parchutes dei Coldplay e Love is Here degli Starsailor. First Light si innesta agevolmente in una simile genealogia, brillando di quella particolare, rarefatta, luminescenza di inizio millennio, che recava in sé la sottile malinconia del congedo da un passato ancora troppo vicino per dileguarsi. Musica da passaggio d’epoca, spaesata, elegiaca, spesso cupa, ma in fondo anche stordita da un’irresistibile fame di futuro.

L’inaugurale Younger & Younger, indubbio vertice del disco, ha in effetti la vivezza di un graduale risveglio dopo una lunga ibernazione, di una “prima luce” (appunto) guadagnata al prezzo di violenti diluvi di buio. Sensazione che la possente cavalcata space pop Sun Song (inciso alla Divine Comedy e trame strumentali degne dei Radiohead) così come le cadenze dream-folk della bellissima Looking Through Angel Eyes amplificano e rafforzano. Fino allo sbocciare vertiginoso della ballad cosmica Whisky Angel, che fa balenare alla mente i Moody Blues di Nights in White Satin, gli Suede di Pantomine Horse, a tratti persino i King Crimson di The Court of The Crimson King. Gli altri tre brani in scaletta (l’irresistibile Million Ways, vera e propria hit mancata, le non meno seducenti River Place e Killing Time) suggellano il lavoro nel segno di una grazia che ha del miracoloso, quasi soprannaturale. Quasi si dubita che i Ray siano esisti veramente, che non si tratti di una fantasia o di un inganno.

Se avessi ascoltato questo disco nel 2001 o poco dopo, sicuramente ne avrei scritto con un entusiasmo, con una febbre, che oggi mi è difficile anche solo immaginare.
Farlo adesso mi dona il privilegio di aggiungere un ricordo tardivo, ma non meno autentico, ai tanti che vi ho prima elencato. Come questi ultimi, anche First Light non svanirà mai.


P.S.
Chi fosse interessato ad ascoltare First Light non ha che da chiedere… (n.d.r.)

Un pensiero su “Ray – First Light

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