The WAEVE – The WAEVE

Francesco Amoroso per TRISTE©

Ogni tanto, con amici e altri collaboratori di TRISTE©, amiamo perderci in oziose discussioni sul ruolo della critica musicale e sulla sua utilità in un’epoca di libera e totale accessibilità alla musica. E amiamo, ancor di più, fantasticare su quale potrebbe essere l’approccio più corretto alla materia musicale.
Qualche tempo fa, uno di noi ha tentato, per puro gusto dell’iperbole probabilmente, di sostenere che per riuscire davvero a parlare di un album senza condizionamenti e preconcetti non si dovrebbe conoscere nulla dei suoi autori e magari neanche il nome, i titoli delle canzoni e la copertina. Chiudere gli occhi e semplicemente ascoltare la musica, senza sapere da dove arriva, dove vuole andare e che cosa c’è dietro.
Eppure, se è vero che non tenendo conto di tutte le sovrastrutture che fanno da corollario inevitabile all’uscita di un album e la sua fruizione, dalle leggende, più o meno costruite ad arte, fino all’incasellamento in un genere o una scena, certamente il nostro orecchio sarebbe più libero e meno condizionato, è anche vero che sarebbe davvero un peccato perderci alcune storie bellissime che ne accompagnano spesso la genesi.

Una di queste storie bellissime – una di quelle che potrebbe finire sia in un film patinato con la sceneggiatura di Nick Hornby, che in una pellicola indipendente o in una serie scritta da Phoebe Waller-Bridge – è quella che si nasconde (neanche poi tanto…) dietro la nascita dell’album d’esordio del duo The Waeve, formato da due veterani della scena indie britannica: Rose Elinor Dougall, già parte delle Pipettes (band tutta al femminile dal clamoroso, per quanto piuttosto effimero, successo) e Graham Coxon, occhialuto chitarrista e pilastro, tutto genio e sregolatezza (sonora), dei Blur*.
Nata da un incontro quasi casuale nel 2020 e dall’idea di scrivere una canzone insieme, la collaborazione tra i due affermati musicisti inglesi, appena cinquantenne lui, di diciassette anni più giovane lei, ha finito per trasformarsi, inaspettatamente (pare anche per i diretti interessati) in un connubio artistico e di vita.
È verosimile che nessuno dei due artisti avrebbe pensato, incontrandosi nel backstage di uno degli ultimi concerti prima del lockdown, che a fine 2022 si sarebbero ritrovati con una nuova band, un album in uscita e, addirittura, una figlia insieme.

Sarò un vecchio romanticone, ma certe storie mi emozionano sempre. Lei bellissima e talentuosa, ma probabilmente mai del tutto valorizzata, lui, geniale, pieno di successo, ma un po’ nell’ombra dell’amico di sempre Damon Albarn (più bello, più di successo, più glamour), si incontrano alla fine di un concerto. Magari lui è stanco, sudato e sta tentando di pulire gli occhiali con la sua maglietta a righe orizzontali da eterno adolescente ormai attempato. Lei lo avvicina con un drink. Due chiacchiere sulla musica, una simpatia reciproca, l’idea di rivedersi in una situazione più tranquilla. E, due anni dopo, The WAEVE e una splendida (supponiamo, soprattutto se ha preso dalla madre) bambina.

Naturalmente la mia è solo una drammatizzazione e le cose saranno andate diversamente, ma quel che è certo e certificato è che Coxon e Dougall si sono incontrati per la prima volta nel dicembre 2020 nel backstage di un concerto organizzato per una raccolta fondi per la Croce Rossa libanese al Jazz Café di Camden Town, dove Coxon si era appena esibito, e che successivamente i due hanno iniziato a scambiarsi playlist (una volta sarebbero state molto più romantiche cassette…) grazie alle quali hanno scoperto di avere molti punti in comune e affinità musicali da esplorare, hanno cominciato a frequentarsi, hanno avuto una bambina insieme e hanno deciso di portare avanti un progetto (musicale e di vita) comune.

Storia romantica a parte, è chiaro sin dalle prime note di Can I Call You, con la voce di sensuale di Dougall, prima adagiata su un tappeto di piano e percussioni sommerse, poi, a sua volta, sommersa da synth acidi e dalla dissonante chitarra di Coxon, come i due musicisti si intendano a meraviglia.
L’album, omonimo, è spesso percorso da una tensione, latente, in tutte le sue tracce e che si tratti di una tensione di tipo sensuale è piuttosto facile da intuire: si trova nella lunga Undine, che a tratti ricarda i magnifici Broadcast, con archi e fiati che tratteggiano una melodia lussureggiante, minacciata sul finale da synth e chitarre sporche, in Drowning, che parte come un valzer per assumere poi toni decisamente più inquietanti, nel postpunk deciso di Someone Up There.
Ma non ne son scevri neanche il folk-rock onirico di All Along, l’adorabile Sleepwalking, l’elegante Over And Over, la bowieana e magniloquente Alone And Free e la conclusiva You’re All I Want To Know, il duetto più canonico (e romantico – e per questo uno dei miei brani preferiti) del lotto: “Walking through a waking dream/ A way to love so far unknown to me/ Finding strange courage to say/ We’re getting deeper now/ So stick around/ It’s too late to turn back now/ There’s something you should know, right now/ I ain’t letting you go/ You’re all I want to know

È evidente che con The WAEVE Coxon e Dougall si sono allontanati dalle rispettive zone di conforto: in molti brani il buon Graham suona il sassofono, altrove addirittura la cetra, una sorta di liuto medievale, mentre Rose si cimenta al piano e ai sintetizzatori. The Waeve si muovono molto lontani dai territori sonori urbani dei Blur, ma anche da quelli che hanno caratterizzato le prove soliste di Dougall, per immergersi nel folk rock di matrice britannica a cavallo tra sessanta e settanta e per flirtare con il Krautrock e tutto il rock sperimentale dei seventies.
Se proprio si dovesse cercare di definirlo (e non è facile),The WAEVE si potrebbe dire un album di folk rock di matrice britannica rivisitato in chiave posto punk.

Coxon e Dougall, insomma, finiscono per completarsi artisticamente (e, ci auguriamo, anche nella vita privata) e il risultato della loro collaborazione risulta essere il prodotto piuttosto che la somma dei loro talenti individuali. The WAEVE si rivela un album stimolante e ambizioso, arrangiato con eleganza e inventiva, tanto che, scandagliandone ogni singola traccia in maniera approfondita e analitica, si potrebbe scrivere un piccolo trattato sulla musica pop contemporanea.
Tuttavia tale operazione potrebbe rivelarsi inutile e oziosa (e poi, sarà stata fatta altrove da penne più prestigiose e preparate), mentre quello che a me preme sottolineare in questa libera sede (e a un paio di mesi -un’eternità di questi tempi- dall’uscita dell’album) è come The WAEVE sia un vero e proprio frutto dell’amore. L’amore per la musica in primis, l’amore che lega i suoi due autori e interpreti, l’amore, anche, che Coxon e Dougall certamente nutrono per i loro ascoltatori, cui si concedono con trasporto e genuina passione.
E, quando c’è l’amore, c’è tutto. No, quella era la salute…

Blur*
(Banalissima nota: è vero che ascoltando Leisure, esordio decisamente “leggero” dei Blur di Albarn e Coxon, sarebbe stato difficile comprendere che, dietro l’apparenza sbarazzina e sfrontata, si celava una band pensante e dal peso specifico notevole, ma un indizio importante in questo senso era già dato dalla circostanza che i due sodali, prima di optare per il nome Blur, avevano deciso di chiamare la loro band Seymour, ispirandosi al lungo racconto Seymour, An Introduction, di J.D. Salinger, e alla sua figura principale, Seymour Glass, ex bambino prodigio e genio tormentato, già protagonista di uno dei racconti più belli e sconvolgenti della storia della letteratura mondiale, A Perfect Day for Bananafish. Tutto ciò non ha nulla a che vedere con The Waeve. O forse sì.)

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