The Particles – 1980s Bubblegum

Francesco Amoroso per TRISTE©

“Do you remember the way things were?”
(Blueboy – Meet Johnny Rave)

L’indiepop è un genere musicale (sempre che si possa parlare di genere e non di attitudine) che arriva direttamente dal cuore, molto prima che dal cervello.
E’ forse per questo motivo che, pur rimanendo (per costituzione) un genere di nicchia, è diffusissimo ed è possibile ascoltare band indiepop provenienti da ogni latitudine.
Che ciò accada adesso, in un mondo globalizzato, è abbastanza normale: è possibile che un gruppo di ragazzini indonesiani, messicani, o italiani abbia ascoltato e amato Orange Juice o The Field Mice e sia, di conseguenza, spinto a scrivere un brano dalle spiccate caratteristiche indiepop. Nulla di più naturale.
Quello che, invece, potrebbe stupire -ma che, invece, non fa altro che confermare come l’indiepop sia una musica del cuore, un suono e un’attitudine che sgorgano direttamente dall’anima- è che già quaranta e passa anni fa, quando cominciarono a sentirsi i primi vagiti dell’indiepop, nascessero ovunque band che, pur non avendo alcun legame tra loro, finirono per essere, però, accomunate da un attitudine -non solo musicale- simile.

Ciò accad(d)e, a mio modesto avviso, proprio perché l’indiepop, ancora più del punk, della new wave e, certamente del progressive o del metal, nacque, senza troppe sovrastrutture culturali o musicali, ma soprattutto per l’esigenza di trasmettere, con le sue canzoni, le sue melodie e i suoi testi, le sensazioni di quell’età della vita di ognuno di noi che, più di ogni altra, influenza il nostro sviluppo: l’adolescenza, epoca di grandi conflitti, ma anche di emozioni forti e generatrice di ricordi e sensazioni indelebili.
L’indiepop si sviluppa attorno al punk e al post-punk, nei primi anni 80 e ne prende in prestito l’attitudine DIY, la semplicità delle strutture sonore e l’irruenza, ma se ne differenzia per l’assenza di nichilismo, una minore rabbia e, soprattutto, per l’amore per le melodie e per la sua esplicita emotività, una sensibilità da indossare con orgoglio e senza alcuna vergogna.

I riferimenti delle prime band indiepop erano senza dubbio i girl groups degli anni Sessanta, il jingle jangle chitarristico dei Byrds, un po’ di (northern)soul e la psichedelia e il folk dei sessanta. Così, mentre in Gran Bretagna emergevano band come Orange Juice o TV Personalities, altrove, senza alcuna consapevolezza le une delle altre, ma partendo dalle stesse premesse, germogliavano altre realtà, alcune delle quali rimaste pressoché sconosciute fino ai giorni nostri.
In Australia, per esempio, emersero The Particles, formatisi a Sydney nel 1977 e sopravvissuti fino alla metà degli anni ’80, che svilupparono un’attitudine indiepop del tutto simile a quella delle coeve band inglesi, pur senza averle probabilmente mai conosciute. Questo grazie alla loro cantante Astrid Spielman, che alla rabbia del punk preferì sempre l’ironia (senza però dimenticare il lato politico della faccenda), e al chitarrista e songwriter Peter Williams che ebbe la capacità di pennellare melodie pop assolutamente fantastiche.

The Particles, ad ascoltarli oggi, sembrano quasi l’anello mancante della catena che unisce l’indiepop degli esordi al catalogo Sarah Records, ai Belle And Sebastian e a tante band indie pop con attitudine punk provenienti da oltreoceano. Anzi, a dirla tutta, The Particles suonavano indiepop anni prima che il genere stesso esistesse.
Eppure di questa seminale (erano secoli che volevo usare questo termine…) band australiana davvero in pochissimi erano consapevoli.
Anche i più attenti appassionati di indiepop e dintorni, infatti, probabilmente non conoscono i tre EP (in versione sette pollici, come spesso accadeva allora) pubblicati dalla band di Sidney tra il 1980 e il 1984: Color In (1980), Advanced Coloring (1981) e I Luv Trumpet (1984).
A rimediare a questa lacuna arriva adesso, grazie al lavoro sempre encomiabile della australiana Chapter Music, 1980s Bubbegum, raccolta di quei tre EP e di tutte le altre canzoni pubblicate dalla band di Sidney, comprese alcune registrazioni radiofoniche dell’epoca. Purtroppo Astrid Spielman, tragicamente scomparsa nel 2015, non potrà godersi questa riscoperta postuma, ma la sua musica, scritta con il collega e compagno Peter Williams, inventiva, gioiosa, piena di vita e incredibilmente attuale, le è sopravvissuta ed è una assoluta delizia per le orecchie di qualsiasi appassionato dell’indiepop (e non solo).

1980s Bubblegum (che prende il nome dallo slogan stampato sui biglietti da visita che il batterista-manager, nonché fratello minore di Peter, Steven Williams, distribuiva a promoter e giornalisti), testimonia la parabola degli australiani, band in continua evoluzione e crescita sia dal punto di vista compositivo che da quello della personalità.
Si parte dai brani dell’esordio Color In. Innanzitutto Driving Me, prima canzone scritta e incisa dalla band, che finisce per essere una vera e propria dichiarazione di intenti: eccitante, sincopata ma con una melodia rotonda e sorprendentemente vulnerabile (scritto dalla prospettiva di una giovane fan che accompagna i ragazzi a casa dopo i concerti per mostrare loro il proprio affetto), e poi le due “B-Side” Apricot’s Dream, sorta di fragile ballata twee pop in embrione, e Zig Zag (brano che mostra tutta la dirompente carica satirica di Spielman che, figlia di un sopravvissuto all’olocausto, nella rallentata parte centrale del brano ripete le parole “Zig zag, sieg heil“. Come spiegherà la sorella Ingrid poi : “C’erano momenti in cui ebrei come mio padre e mio nonno erano costretti a dire ‘sieg heil’ e fare un saluto nazista per evitare di essere individuati, fucilati sul posto o detenuti e successivamente sterminati, prima di fuggire dalla Vienna occupata dai nazisti. Nella nostra famiglia, dire ‘sieg heil’ è usato ironicamente, per indicare l’essere impotenti, costretti a sottomettersi o conformarsi sotto costrizione.“).

Le tre canzoni del successivo Advanced Coloring nascono dai soli Astrid e Peter (con tanto di batteria elettronica) e sono brani pop immediati, subito riconoscibili ed esultanti. Truth About You è un pop agrodolce e irresistibile, che farebbe la fortuna di tante band indiepop attuali. Il terzo brano Remington Rand è l’unica prova rimasta di uno dei punti di forza dal vivo di Astrid: i suoi monologhi ironici e semi-improvvisati (in questo caso sulle tribolazioni di prenotare un taxi a Sydney tramite l’allora nuovo sistema telefonico computerizzato). Bits Of Wood, invece, posta nel mezzo, dura meno di due minuti ed è scattante e frenetica. Era, a quanto pare, uno dei brani più amati dal vivo e la band ci è ritornata più volte: qui è presente anche in una Early Version più rallentata, e in una versione radiofonica dal vivo.

Il terzo e ultimo EP della band, emblematicamente titolato I Luv Trumpet, contiene anch’esso tre brani e rappresenta una svolta sonora per la band che, nel frattempo, dopo una lunga pausa, era diventata un quartetto, con l’aggiunta di un trombettista e un bassista. The Trumpet Song, il brano portante, è, senza dubbio il capolavoro della band: una canzone straordinaria, costruita attorno a una linea di tromba favolosa e a un pattern di batteria elettronica persistente, lunga quasi cinque minuti, è eccitante, emozionante, trascinante e permette alla band di mostrare tutta la propria esuberanza. Dresses and Shoes (di cui esiste anche un rarissimo video) parte con un’introduzione a cappella, ma poi prosegue esuberante, ancora con la tromba a corredo, mentre Observations, l’unica traccia dei Particles cantata da Peter Williams, è decisamente più dimessa e pessimista: “Talking is no way to change the fact that talking does no good…how could you expect me to be waiting, I’ve waited long enough”, canta, infatti, Peter su una chitarra jangle, una tromba malinconica e un basso saltellante.

Potrebbero bastare questi nove brani per comprendere appieno la grandezza di questa misconosciuta band australiana, ma, in 1980s Bubblegum sono presenti altre chicche: Family Life, tratto da una rarissima raccolta del 1983, il loro brano forse più vicino al punk, la fantastica I Know A Place, anch’essa tratta da una raccolta dell’anno successivo (e proveniente da una cassetta della band andata perduta), che unisce l’esuberanza punk con la melodia e l’uso della tromba e (inclusa come bonus track solo in digitale) l’intera sessione (compresa l’introduzione e una brevissima intervista) che The Particles registrarono per la trasmissione Live At The Wireless della popolare stazione radio Triple J dal vivo la sera di lunedì 4 luglio 1983 (e che contiene il pregevole inedito Walking Talking).

Non molto tempo dopo la registrazione del loro ultimo ep la band si sciolse e i membri principali si separarono: Astrid si concentrò sulle arti visive, il bassista Stephen O’Neil co-fondò i Cannanes a metà degli anni ’80 (band che esiste ancora oggi), il manager e batterista Steven Williams suonò con The Lighthouse Keepers, mentre Peter Williams non ha più pubblicato nulla dopo The Particles (e ha scelto di non partecipare direttamente al processo che ha portato a 1980s Bubblegum).

I singoli originali di The Particles sono ormai preziosi oggetti da collezione, ma questa raccolta, di cui qualsiasi appassionato di indiepop non può che essere grato e riconoscente alla Chapter Music, restituisce all’attualità una band che, costruendo sulle basi del punk ha, autonomamente e parallelamente a tante più osannate band provenienti da Gran Bretagna e Stati Uniti, costruito qualcosa di nuovo, eccitante e fresco, un genere che partendo dal cuore dei suoi autori, arrivava sempre, con quella incantata precisione che si ottiene solo con la volontà e l’amore, dritta al cuore degli ascoltatori.
Avere l’opportunità, nell’estate del 2023, di ascoltare le canzoni di The Particles (The Trumpet Song è già, inevitabilmente, la canzone di quest’estate, anche se è stata incisa nel 1984) è un dono e, al tempo stesso, un tributo dovuto e necessario alla pura e incontaminata magia della musica meravigliosa e vitalissima di Peter Williams e Astrid Spielman.

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