Housemartins – London 0 Hull 4

Francesco Amoroso per TRISTE©

L’estate del 1986 fu (con buona probabilità per ragioni anagrafiche, prima che per qualsiasi altro motivo) un’estate indimenticabile.

Quell’anno, tra l’altro, il 16 di Giugno, uscì The Queen Is Dead degli Smiths, che divenne immediatamente la colonna sonora delle mie lunghissime vacanze fatte di mare, amici, e soprattutto tanta leggerezza (visione, questa, del tutto a posteriori: avessi dovuto parlarne allora, avrei detto che era un momento pieno di problemi, delusioni e spleen adolescenziale).

Il ritorno a casa, alla routine, fu, così, ancora più difficile e l’arrivo delle nuvole e del freddo, contribuì in maniera rilevante a peggiorare il mio umore.

Che rimase cupo (certo ascoltare gli Smiths ogni giorno non era, suppongo, di grande aiuto), almeno fino alla fine di Ottobre, quando, finalmente, riuscii ad acquistare l’album d’esordio di una giovane band proveniente dalla provincia inglese di cui, da qualche mese, sentivo parlare molto bene.

Gli Housemartins venivano da Kingston Upon Hull, una cittadina sulle rive del fiume Hull, nello Yorkshire, nota fino ad allora solo per una fiorente attività di pesca e per aver dato i natali agli Everything But The Girl (e ai magnifici e misconosciuti Red Guitars).

I quattro ragazzi inglesi suonavano melodie scanzonate e allegre e si erano fatti conoscere quell’anno grazie a un video (animato) della irresistibile canzone Happy Hour. Avevano deciso di intitolare i loro album London 0 – Hull 4 in maniera ironica facendo riferimento alla scalcinata squadra di calcio della città (che all’epoca militava nelle serie minori), al loro essere quattro ragazzi di Hull (senza alcun membro proveniente da Londra) e, last but not least, al fatto che mentre a Londra non c’erano band decenti, almeno Hull ne aveva ben quattro (oltre alle su citate e a loro anche i meno noti The Gargoyles).

A completare l’umoristico quadretto (e i chiari riferimenti agli anni ’50 e ’60) sulla copertina c’era Paul Heaton, il cantante, con un cardigan che, almeno allora, portavano solo i pensionati per sedere davanti a una tazza di the fumante.

I ritmi sostenuti, opera del batterista Hugh Withaker e del bassista Norman Cook (sì proprio lui, prima di diventare un’icona planetaria della musica da ballare con l’alias di Fatboy Slim), che inducevano (e inducono) a non restare mai fermi, gli intrecci vocali, chiaramente reminiscenti del soul e del gospel (di lì a poco, nel dicembre dello stesso anno, la band avrebbe dato alle stampe un e.p. con soli brani cantati a cappella che, grazie alla cover di Caravan Of Love, li avrebbe portati al numero 1 in Inghilterra), la voce nasale, e pur tuttavia angelica di Paul Heaton, la chitarra irrequieta ed eclettica di Stan Cullimore e un paio di ballate pianistiche semplicemente perfette: questi gli ingredienti di un album che catturava sin dal primo ascolto e metteva addosso una immensa e irrefrenabile gioia di vivere.

Eppure negli Housemartin c’era molto di più che la sola voglia di divertirsi e di muoversi: mescolando in maniera sapiente e del tutto inusitata il comunismo e il cristianesimo (nella copertina interna dell’album c’era l’esortazione a “Take Jesus – Take Marx – Take Hope”), la “quarta migliore band di Hull” accompagnava melodie irresistibili e assurdamente orecchiabili con testi impegnati e profondi, sposando così, in canzoni brevi e fulminanti, la spensieratezza degli anni ’50 e ’60 e la briosa e coinvolgente musica delle feste da ballo dell’epoca (compresi gli immancabili lenti) con l’ impegno sociale e l’atmosfera plumbea dell’Inghilterra della Tatcher.

Ascoltato a distanza di oltre trent’anni, oltre a rimanere un album musicalmente impeccabile e terribilmente coinvolgente (sfido chiunque a non mettersi a ballare e cantare mentre lo si ascolta) London 0 – Hull 4 resta un lavoro attualissimo per le tematiche affrontate: l’attacco all’apatia di Sheep, la satira dell’uomo che, seduto su uno steccato, ha un piede da una parte e uno dall’altra (ogni riferimento a fatti o persone dell’attuale politica è assolutamente casuale: siamo in periodo di par conditio) di Sitting On A Fence o il singolo Happy Hour, una riflessione caustica ed efficacissima sulla cultura del lavoro aziendale e sul sessismo (che, tra l’altro raggiunse la Top 3 del Regno Unito,; altri tempi, senza dubbio), sono lampanti esempi di quanto Heaton e compagni fossero ispirati e consapevoli del ruolo che una formazione pop dovrebbe avere nella società.

La breve parabola della band, un solo altro album nel 1987 e poi lo scioglimento (di Cook si è già detto, mentre Heaton ha continuato con i Beautiful South e ora in compagnia di Jacqui Abbott), non ha probabilmente permesso ai più di approfondirei la loro conoscenza.

Ed è davvero un peccato perché, oltre a rischiarare il mio inverno di oltre trenta anni fa (e accompagnarmi per molti degli inverni successivi) i quattro ragazzi di Hull avrebbero potuto insegnare a tanti come, con il giusto talento e la giusta ispirazione, non è affatto impresa impossibile coniugare la passione, l’impegno e una giusta dose di intransigenza, con l’intrattenimento e la voglia di vivere.

Prendete Marx, prendete Gesù, prendete ciò che vi pare, ma fatelo sempre con partecipazione e convinzione e, soprattutto, non dimenticate per strada la speranza.

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